di Laura Tirelli
Percorrendo la strada provinciale che dal Municipio conduce alla Piana (via Milano) si vede all’incrocio con via Corno un grande edificio rettangolare color “giallo lombardo” che porta sulla facciata laterale la scritta “Cascina Elvira”. Questo luogo ha una storia interessante.
Il terreno sul quale sorge la cascina era originalmente proprietà della contessa Maria Crivelli Serbelloni, la quale, nel 1874 lo offrì al Comune per costruire un nuovo cimitero nel quale era sua intenzione far erigere una cappella mortuaria con sottoposto sepolcreto dove sarebbero state poste le spoglie mortali della madre duchessa Matilde Serbelloni, nata Castelli, deceduta da poco e degli altri suoi congiunti, cioè il padre duca Giuseppe, la sorella Amalia, i nonni duca Marco e duchessa Matilde, nata contessa Bolognini, le cui spoglie erano a quel tempo nel cimitero comunale lungo la strada per Angera. L’ ing. Valentino Ravizza (1) incaricato di predisporre il progetto dalla contessa Crivelli Serbelloni giudicò inadeguato il cimitero esistente per motivi igienici e perché troppo vicino all’abitato e di dimensioni insufficienti. La contessa presentò allora alla Giunta Municipale di Taino l’offerta gratuita di questo suo possedimento di mq 760 e distante dall’allora abitato m.422.
L’offerta fu presentata per iscritto e corredata da una piantina della zona e del progetto per l’erigenda cappella (2).
Il nuovo cimitero non venne però realizzato, né la cappella per la nobile famiglia e questo stesso terreno, dopo lo smembramento della proprietà Serbelloni, fu acquistato nel 1912 da Giovanni Ghiringhelli, detto pa’ Giuan dal Bisoec, il quale vi costruì una cascina per sé, per la moglie Elvira, da cui prese il nome, per i suoi sei figli e i suoi animali.
Pa’ Giuan dal Bisoec era un uomo forte, grande lavoratore, tipico esponente dei capi famiglia di una volta: i regioo.
Gestiva con autorità la famiglia e i figli gli ubbidivano senza discussione. Una volta diventati grandi gli consegnavano la busta paga perché solo al padre spettava la gestione del patrimonio familiare.
Egli si occupava anche della vita spirituale dei figli, imponeva loro di seguire i precetti della Chiesa e se i figli si erano comunicati a Pasqua, come premio, faceva portare in tavola del salame, cibo allora assai prelibato e che solo di rado compariva alla mensa dei contadini.
Oltre che alla sua famiglia si interessava del paese: ebbe incarichi in Parrocchia (fu priore e fabbriciere) e presidente della “Mutua del bestiame”, una organizzazione creata dai contadini per sostenersi reciprocamente in caso di perdita di animali.
Solo il terzogenito Enrico (3) continuò con l’aiuto della moglie Giuseppina, il lavoro dei campi; la figlia maggiore Carlotta emigrò in Francia. I figli Carletto e Luigi, come molti altri giovani Tainesi, lavorarono alle Ferrovie dello Stato, mentre Giuseppe, dopo un periodo di lavoro in Svizzera come muratore, fu assunto in “Polveriera”. Fu tra le vittime del grande scoppio del 1935. Il suo non fu il solo tributo di sangue pagato dalla famiglia Ghiringhelli: nel 1943 perse la vita a soli 32 anni l’ultimo figlio, Pierino, guardia alla “Polveriera”, a seguito di un fatale incidente in un reparto.
Per arrotondare le entrate, la cascina Elvira, come quasi tutte le cascine di Taino, “ospitava” i bigat (bachi da seta).
Ogni anno nella prima domenica di Maggio, da Angera, dopo la processione alla Madonna della Riva, pa’ Giuan dal Bisoec portava a casa “2 once” di bigat. Erano le donne di casa, Elvira e le nuore che principalmente se ne occupavano. I bachi venivano posti su grandi tavole rette da pali e coperte da canne (fino a 40 tavole) e collocate al caldo in tutti i locali della cascina.
I bigat venivano nutriti con grandi quantità di foglie di gelso, per ben tre volte al giorno. I gelsi erano allora diffusissimi in tutto il paese.
Verso la fine di giugno i bozzoli erano pronti e si faceva il “raccolto” con l’aiuto di altre donne del paese. I bachi venivano portati sull’aia e liberati dai bozzoli i quali erano, poi, portati all’albergo Agnello, luogo di raccolta generale, e ritirati dagli incaricati dei filatoi.
Gli schiscet, cioè i bozzoli non perfetti , erano tenuti e filati con la rocca. La nuora Giuseppina ricorda una bellissima giacca di seta ricavata dagli schiscet e acquistata dall’ingegner Carlo Berrini dei Ronchi.
Non sempre i bigat furono fonte di guadagno; a volte succedeva che, dopo mesi di lavoro e fatica, i filatoi non ritiravano tutta la merce o, come successe un anno, l’incaricato del ritiro dei bozzoli fallì e nessuno fu pagato.
La vita della famiglia Ghiringhelli nella cascina Elvira è stata simile, sotto molti aspetti, a quella di altre famiglie tainesi nel periodo compreso tra i primi del secolo e la seconda guerra mondiale. Averne ricordato le persone e i fatti significa aggiungere un tassello alla storia di Taino,
NOTE:
(1) L’’Ing.Valentino Ravizza spesso compare nelle cronache tainesi. Ricordato anche dal parroco don Antonio Cominetti tra gli invitati al solenne rito dell’apertura e benedizione della riedificata chiesa parrocchiale di S. Stefano il 24 Novembre 1874, era, con l’Ing. Caimi il collaudatore del nuovo edificio. Effettuò quattro sopralluoghi nel giugno e cinque nel Novembre di quell’anno. Il 24 Dicembre fu in grado di formulare il conto finale di liquidazione in 48.374 Lire. Il 28 Giugno 1906 è poi menzionato quale procuratore speciale della duchessa Maria Anna Serbelloni nella vendita dei beni siti in Taino al marchese Gaspare Corti. ( Vedi E. Varalli “S:Stefano Protomartire pagg. 22-23-184-185)
(2) Fonte: fondo Serbelloni serie 131, Archivio di Stato di Milano.
(3) Ad Enrico Ghiringhelli da tutti conosciuto come “al Ricu da Bisoec”, il nostro giornale ha dedicato la rubrica “vecchie foto” nel numero 5 dell’Ottobre/Novembre 1993.
Si ringrazia la famiglia Ghiringhelli per il materiale e le informazioni fornite e in particolare la signora Giuseppina, classe 1904, per la prodigiosa memoria.