Giovanni Testori e Taino: la poesia “Ragazzo di Taino”

di Tommaso Tirelli

Ragazzo di Taino è il titolo di una poesia (riportata più sotto) di Giovanni Testori, critico d’arte ma anche poeta e drammaturgo, scomparso nel 1993. Scritta nel 1976 e pubblicata per la prima volta nel 1981 su una rivista di Luino, la proponiamo ai nostri lettori poiché è un testo poco noto, di un personaggio tuttavia molto conosciuto per la sua attività di letterato, che ha avuto familiarità con il nostro paese. Testori venne a Taino nel giugno 1992, invitato da Vittore Piovella, in qualità di critico d’arte ed esperto conoscitore della pittura del Seicento, al fine di esaminare e valutare il quadro della Decollazione del Battista conservato nella chiesa di Cheglio, che egli attribuì al pittore seicentesco G.B. Crespi, detto il Cerano. Questa “scoperta” fu al centro dei festeggiamenti che si tennero nel settembre di quell’anno per il centenario di consacrazione della chiesa parrocchiale, e fu oggetto di dibattito durante un convegno tenutosi al Centro dell’Olmo. A questo convegno avrebbe dovuto partecipare anche Testori, tuttavia la sua malattia, allora in fase già avanzata, glielo impedì. La notizia del Cerano ritrovato meritò l’attenzione di alcuni giornali locali e nazionali(1). Testori comunicò al prof. Marco Rosci, che all’epoca curava la redazione del libro Cerano, Opera Completa (Electa, 1999), che a Taino era presente un dipinto del Crespi. Gli studi più recenti del Rosci hanno invece attribuito il quadro di Cheglio al pittore Melchiorre Gherardini, nato nel 1607 a Milano ed allievo del Cerano. Alla morte del maestro, il Gherardini ne ereditò l’avviata bottega: l’autorità e la fama del Crespi gli ottennero importanti commissioni anche a distanza di decenni. Egli lavorò in Lombardia (a Varese affrescò nel 1653 il presbiterio della chiesa di San Giuseppe), a Novara e al Sacro Monte di Varallo. Indubbi rimandi al Cerano sono presenti nella tela di Cheglio, come la tipologia del capo del Battista, esangue ed emaciato, le lunghe braccia abbandonate con le mani nervose, la monumentalità delle figure femminili, dall’incarnato grigio, che evocano le tele del Museo dell’Opera del Duomo. Ma alcuni caratteri stilistici come i “cangiantismi” e le tinte pastello, presenti in altri dipinti del Gherardini datati 1635-1640, avvalorerebbero l’attribuzione a quest’ultimo piuttosto che, come sostenne Testori, al periodo giovanile del Cerano, che morì nel 1632. Inoltre la vicenda storica dell’edificio che ospita il quadro suggerisce appunto una data di esecuzione intorno al 1640, ammesso che la tela si trovi nel suo sito originario. L’oratorio di Cheglio venne ultimato nel 1619; nel 1636 le truppe francesi reduci dalla battaglia di Tornavento misero a ferro e fuoco la Pieve di Angera, riducendo a luoghi deserti tutte le chiese della pieve (2) (è documentato che a Taino venne spezzato il pulpito ed il tabernacolo della chiesa di S.Stefano, rubate le elemosine, la biancheria e gli indumenti sacri). E’ quindi improbabile che qualcosa fosse scampato a questo scempio, mentre è più logico pensare che la Decollazione sia stata eseguita dopo questo evento(3).

Giovanni Testori esamina il quadro raffigurante S. Giovanni Battista, conservato nell’omonima chiesa di Cheglio (16 giugno1992). Testori venne contattato quando, in occasione delle celebrazioni per il centenario della consacrazione della chiesa parrocchiale, si concretizzò l’idea di allestire una mostra d’arte sacra nella chiesetta di Cheglio: l’esperto conoscitore d’arte lombarda, a cui vennero mostrate le fotografie dei quadri chegliesi ritenuti più significativi, segnalò il pregio della Decollazione ed espresse il desiderio di vedere la tela di persona.
La Decollazione del Battista, tela seicentesca attribuita nel 1992 da Testori a G.B. Crespi detto il Cerano; nel 1999 il Prof. Rosci l’attribuì al pittore Melchiorre Gherardini, allievo del Cerano.

Testori come critico d’arte si interessò soprattutto di pittura del Seicento, appassionandosi intensamente ad essa: “… vi è uno spasimo, un senso della morte, della tensione massima, lo scavalcamento dell’uomo, della struttura, per arrivare a dire quello che non si può dire”. C’è un legame tra la sua poesia ed alcuni caratteri della pittura seicentesca, essendo la prima caratterizzata soprattutto da tematiche vissute alla luce della religione, dalla dialettica fra teologia e sensi, fra spirito e materia, fra senso della sofferenza e amore. E’ una poesia segnata da profondi dubbi, che egli non seppe risolvere sino alla fine, come dichiarò anche nell’ultima intervista rilasciata prima della morte.
L’opera poetica di Testori ritenuta dalla critica come più significativa è Nel tuo sangue, del 1973. A proposito di quest’opera, egli ha detto: “Le poesie che ho raccolto sotto il titolo “Nel tuo sangue” esprimono una specie di lotta e di estremo confronto con la figura del Cristo: un rapporto di amore-odio così come avviene in ogni forma di esperienza amorosa in cui si è portati a identificare l’oggetto del proprio amore con Dio. Benché la mia formazione sia stata cattolica non credo di poter essere definito un poeta cattolico. Penso che sia più esatto parlare, per quel che mi riguarda, di “poesia religiosa” . La poesia stessa è religione. Ho sempre concepito l’espressione artistica come atto sacrificale, proprio nel senso mistico e religioso di atto propiziatorio, di incursione nel mondo del mitico. E questo vale per la poesia, per il teatro e per qualsiasi altra forma creativa”.
Per quanto riguarda i testi teatrali ed i romanzi, Testori espresse con essi l’esigenza di capire e rappresentare il degrado dell’emarginazione: egli scelse come ambientazione per le sue opere le periferie, i sobborghi ed i quartieri popolari milanesi. Per questa attenzione privilegiata agli emarginati, è stato avvicinato a Pasolini, ma la comunanza di interessi non corrisponde ad una reale affinità di contenuti. Tra i romanzi e racconti citiamo Il dio di Roserio (1954), Il ponte della Ghisolfa (1958), La Gilda del Mac Mahon (1959), Il fabbricone (1961) e tra i lavori teatrali La Maria Brasca (1960) e l’Arialda (1961).
Tutta l’opera di Testori si caratterizza dunque per i forti contrasti e da un senso opprimente di ansia, che egli mostra in modo lacerante e unico nella sua scrittura.
Il tono è invece decisamente più disteso nelle poesie “private”, come A te, L’Amore o Ragazzo di Taino. Quest’ultima è composta da due parti: la prima è stata pubblicata, come accennato sopra, in “La Rotonda. Almanacco luinese 1981”; la seconda è comparsa col titolo Ora che mia madre e l’indicazione: “tratto da Ragazzo di Taino, 1977” in un volume di poesia e disegni di vari autori, del 1987.
La poesia è oggi pubblicata nel secondo volume dell’Opera completa di Giovanni Testori, edito da Bompiani. Altre opere di Testori (fra cui Nel tuo sangue) accompagnate da commento critico sono presenti nell’antologia virtuale della poesia italiana all’indirizzo: http://www.club.it/autori/grandi/giovanni.testori/indice-i.html
Gli studi critici su Testori sono tuttora non conclusi.

RAGAZZO DI TAINO di Giovanni Testori (1976)

Riproduzione del manoscritto originale di Ragazzo di Taino, con autografo e disegno di una rosa intorno a cui si aggrumano o dalla quale sembrano originarsi i versi

I

E poi bisognerà un giorno,
ragazzo di Taino, scendere giù
ben oltre la riva dorata di Luino
e sulla sponda giungere
dove non appaiono più barche
se non stipate d’ombre e vane;
bisognerà, cespo di pavone,
non avere più amore, non avere più pane;
stendersi insieme o soli
nell’impossibile gelo della Città di rame
o traghettare l’antica mestizia dello Stige
a una tomba attraccare
e sentirsi staccare, ora per ora,
in piccolissima dimora,
la carne amata e disperata,
la baciata, adorata carne
ed i capelli, l’ossa…
Nessuno riaprirà mai la porta,
– a noi che importa?-
chiusa su te, su me.

Ma quando? Un giorno,
ragazzo dagli occhi assediati dal carbone,
volo e luce d’ultima rondine,
tu, mio povero rondone,
quando sarà caduta a grani
dalla clessidra la sabbia nelle mani,
rotto per empietà divina, il cristallo delicato…

Non ci sarà più freddo,
non ci sarà più fuoco.
Ma quel giorno, in silenzio,
nella spera infinita della pace
o nel suo nulla,
sarò io la tua culla?
Rispondi, ladro di teschi di Taino,
sarai tu il mio cuscino?

II

Se ti vedrò sporgere
di là dal tuo silenzio
ora che mia madre lentamente muore,
non chiamerò più amore:
sudario forse della mia già iniziata
ultima stazione
anche se lunga o brevissima forse,
tenerezza scontrosa mia carissima
-ora che lei distesa guarda
per l’ultime volte i muri
e oltre la finestra il mondo
e chiedere sembra
cosa siano i giorni
e cosa mai lo spazio
tanto è passato in luce
il suo materno, umile strazio-
ti dirò di sederti a me vicino
e non chiedere, no
non chiedere niente, cuore.
La tua pupilla lascerà che si sciolga
dentro il suo negro ardore
il mio smarrito, povero dolore.

Note:

[1] La Prealpina (30/8/1992, 11/9/92, 17/9/92), Il Giorno (10/9/92), Il Nord (11/9/92), La Repubblica (11/9/92), Corriere della Sera – Vivimilano (10/9/92), Famiglia Cristiana (9/9/92)

[2] Nel 1641 il cardinale Monti concede una proroga per eseguire i decreti della visita pastorale, dato che tutte le chiese della pieve erano ridotte a luoghi deserti

[3] M. Gregori (a cura di), Pittura tra il Verbano ed il lago d’Orta, Cariplo, 1996