di Laura Tirelli
La lavorazione della pietra è un’arte antica che ha una consolidata tradizione nelle zone del lago Maggiore e del Varesotto. La popolazione maschile dei paesi del Vergante, ad esempio, si dedica alla lavorazione della pietra da generazioni, in particolare, quasi tutti gli abitanti di Ghevio e Silvera di Meina (1), da circa due secoli, svolgono l’attività di scalpellino e per la loro abilità sono conosciuti in tutto il mondo.
Quello dello scalpellino è un lavoro particolare che richiede un lungo tirocinio, si apprende solo dall’esperienza diretta e dopo anni di pratica quotidiana. Molteplici sono i modi di tagliare la pietra, di lavorarla come pure l’uso e l’impiego che se ne può fare: dalla lavorazione di lastre di pietra per uso edilizio come gradini, davanzali, camini, alla creazione di grandi opere, monumenti, sculture ecc.
Maestri famosi nell’arte dell’intaglio della pietra sono stati, nella nostra provincia, gli scalpellini di Viggiù, che parteciparono, tra l’altro, all’edificazione del Duomo di Milano, ma anche Taino ha avuto “i suoi artisti del sasso”.
Il lavoro di alcuni di loro, da quello più semplice alla creazione artistica, viene qui illustrato in omaggio a tutti i picasass tainesi.
Oggi, grazie all’ausilio delle macchine, la lavorazione della pietra è industrializzata, ma un tempo si lavorava solo con scalpello e mazzuolo, strumenti che richiedevano una notevole abilità, frutto di pratica tenace e di sapiente conoscenza del materiale perchè ogni pietra ha una specificità, una sua identità come una cosa viva.
Quello dello scalpellino era un lavoro faticoso, tra polvere e schegge, e richiedeva l’impiego di una notevole forza fisica per dare colpi decisi ed esatti sulla testa dello scalpello. Lo scalpellino era spesso anche un abile fabbro per l’esigenza di creare o rigenerare dopo l’uso, ferri e punte, scalpelli, unghiette, bocciarde etc. strumenti necessari al suo lavoro, estensioni delle sue mani.
Tra coloro che svolsero questa attività negli ultimi decenni del secolo scorso troviamo LUIGI VILLA, nato a Taino nel 1867. Era un uomo forte e robusto che sapeva adoperare con maestria gli strumenti del suo lavoro. Lavorava in gran parte la pietra locale, dal “sass di cost”, il grande masso erratico (2) che si trova nel bosco nei pressi dell’attuale campo sportivo, staccava blocchi di pietra grigia che trasformava in lastre per gradini e davanzali. La scarsità di lavoro lo costrinse ad emigrare in America dove fece il boscaiolo per alcuni anni. Ritornato a Taino, nel 1905 potè acquistare per sè e la famiglia, la moglie Antonia Berrini e i tre figli, un pezzo di terreno sul quale costruì la casa e la stalla. Morì a 82 anni nel 1949. E’ricordato per la sua grande forza fisica: alto un metro e novanta, sollevava facilmente un uomo con il proprio badile. Fu tra i fondatori del Circolo Operaio.
Scalpellino fu anche FRANCESCO MANNI, nato nel 1908, era originario di Ghevio e con il padre Giuseppe, pure scalpellino, fin da ragazzino andò in Svizzera e in Francia a lavorare la pietra. Specializzatosi in arte funeraria, visse e lavorò per alcuni anni a Nancy, in Francia, poi, ammalatosi, rientrò in Italia e si stabilì con la famiglia a Taino nella metà degli anni ’30. La polvere di pietra ha sempre causato gravi danni alla salute degli scalpellini, che un tempo, prima dell’introduzione delle macchine aspiratrici, non vivevano oltre i 50 anni.
La pietra, come detto, ha una infinità di usi: la costruzione di chiese e cattedrali, espressioni della spiritualità dell’uomo, del suo anelito verso il divino, è certamente la più nobile. A questo impegnativo compito si dedicò, per circa 10 anni, MARIO MOVALLI.
Nato a Taino nel 1898 da Cesare e Virginia Sancassiano, era il
primogenito di 9 figli e apprese i primi rudimenti della lavorazione della pietra da suo padre, che abbinava al lavoro di scalpellino anche quello di oste.
Fin dalla giovane età, Mario mostrò una particolare passione e abilità per il disegno, avrebbe desiderato studiare, frequentare corsi specializzati, ma la famiglia non poteva permettersi di mantenerlo agli studi, sicchè riuscì solo a frequentare con notevole sacrificio per due anni la scuola tecnica di Arona. Nel 1917 fu chiamato sotto le armi, partecipò alla 1° guerra mondiale nel reggimento genio-ferrovieri dal quale fu congedato nel 1920. L’anno successivo, non trovando lavoro in Italia, emigrò in Francia e lì rimase fino al 1936. Quelli furono per lui gli anni più proficui. Dopo qualche anno di attività presso l’impresa edile Rancilio, fu assunto nel 1927 dalla ditta E.Meaume, specializzata nel restauro di monumenti e opere d’arte, con la quale lavorò in qualità di capo scalpellino e poi capo cantiere nella ricostruzione di chiese nella regione dell’Aisne, in Picardia, nel nord della Francia. Le chiese erano state danneggiate e semidistrutte dai bombardamenti avvenuti in quella zona durante la guerra 1914-18. Mario Movalli diresse i lavori di taglio e lavorazione di circa sei milioni di blocchi di pietra per la restaurazione delle chiese: Notre-Dame di Liesse, Urcel Eglise, Trucy Eglise, Coucy-la-Ville Eglise, Crandelain Eglise e il castello di Blerancourt. Per l’alta professionalità e la cura con cui ricostruì questi edifici sacri secondo l’originale struttura, fu elogiato ripetutamente dalle autorità locali. Nel 1936 un grave lutto in famiglia, la morte del fratello Ettore a seguito di un incidente in Polveriera dove lavorava, lo riportò a casa con la moglie Maria Movalli e i due figli, Oreste e Luciano.
Questo nostro concittadino, con il suo lavoro, ha lasciato una importante testimonianza del valore e delle elevate capacità tecniche e artistiche di cui hanno dato prova gli scalpellini italiani in tutto il mondo (3).
Taino annovera tra i suoi figli anche artisti che hanno ricavato dalla pietra o creato con creta e gesso forme e figure.
Scultore fu VITTORIO MOVALLI, figlio di Luigi e di Ernesta Pedrizzetti, nacque a Port Arthur in Canada nel 1893 dove i genitori erano emigrati. Ritornò giovanissimo in Italia e studiò scultura all’Accademia di Belle Arti di Milano. Nel 1923 si trasferì a Roma per perfezionarsi sotto la guida dello scultore Zanelli, autore dell’Altare della Patria. Partecipò a mostre internazionali: nel 1927 espose sei opere all’Esposizione internazionale di Barcellona in Spagna, e cinque a quella di Parigi del 1933. Ebbe autorevoli riconoscimenti per il suo lavoro e l’Accademia Albertina di Roma lo accolse tra i suoi membri. Viaggiò molto, soffermandosi particolarmente in India dove ebbe diverse commesse ed eseguì anche un busto a Gandhi.
Tra le opere più importanti da lui realizzate vi sono due monumenti ai caduti, uno eretto ad Arona, in collaborazione con lo scultore Pozzi ed un secondo a Vanzaghello in provincia di Milano. Il suo stile si rifaceva alla scuola neoclassica che ebbe come massimi esponenti i grandi scultori Canova e Bartolini che Vittorio Movalli giudicava suoi maestri ideali. Lavorò per molti anni a Taino nel suo laboratorio di via Toti.
L’opera di questo artista rappresenta un positivo apporto alla cultura del nostro paese, perchè Vittorio Movalli ha prodotto nella sua carriera opere di un certo pregio anche se non ad altissimo livello artistico. E’ importante quindi ricordarlo e valorizzare di più quanto rimane dei suoi lavori a Taino.
Allievo di Vittorio Movalli è stato lo scultore ARTURO BAVO che oggi a 82 anni è ancora attivo. Nato a Pedesina in provincia di Sondrio nel 1914, a sette anni si trasferì con la famiglia a Sesto Calende. Dal 1950 abita e lavora a Taino in via Marconi. La sua passione per la scultura è di lunga data, dotato di buona manualità, iniziò giovanissimo a lavorare la creta e a scolpire seguendo gli esempi dei grandi. Tra le sue opere più significative vi sono le formelle della Via Crucis sistemate nella chiesa parrocchiale di Taino e la statua di una figura femminile che rappresenta simbolicamente l’Italia, realizzata per il cimitero italiano di Città del Capo dove riposano i resti dei nostri soldati morti in prigionia in sud Africa durante la seconda guerra mondiale.
Al momento Arturo Bavo sta lavorando al progetto di una targa in bronzo a ricordo dei lavoratori tainesi deceduti nello “scoppio” in Polveriera nel 1935.
NOTE
(1) Assai curiosa e interessante è l’origine del piccolo paese di Silvera nei pressi di Meina. La nascita di Silvera risale ai primi del 1600 quando due ufficiali spagnoli di nome Silvera e Brusetti, per sfuggire al contagio della peste, si rifugiarono sulla collina dove ora sorge il paese e lì rimasero, disertori. In seguito sorsero le due piccole corti (ancora esistenti nella loro struttura originale), quella più a monte dei Silvera con 3 porte di accesso e quella a valle dei Brusetti con 2 porte. Al centro, tra le due corti, fu costruita nel 1684 la chiesa dedicata a San Rocco, venerato come protettore degli appestati. Anche oggi quasi tutti gli abitanti di Silvera portano il cognome Silvera o Brusetti e l’arte dello scalpellino, lavoro tradizionale del paese, i vari Silvera e Brusetti l’hanno portata in tutto il mondo.
(2) i massi erratici, ancora presenti nei nostri boschi, sono blocchi di roccia franati dai fianchi vallivi sui ghiacciai e da questi trasportati e abbandonati nelle valli alpine durante la fase di regresso dei ghiacciai.
(3) Scalpellini piemontesi e lombardi hanno lavorato in quasi tutti i paesi europei e un numero ragguardevole è emigrato in America. A Barre nello stato del Vermont vivono tuttora i discendenti delle maestranze italiane particolarmente abili nella lavorazione del granito che lì emigrarono a cavallo del secolo.
Anche diversi tainesi si trasferirono con la famiglia a Barre che per la specializzazione nella lavorazione della pietra venne denominata “Granite Center of the World”. (da “C.Brusa – Ricerca sull’emigrazione dal Varesotto”)