Il palazzo di Taino

 

 

l viale dei carpini ed il portone del Palazzo di Taino

Il ricordo che molti tainesi hanno del Palazzo Serbelloni-Corti è il grande portone verde semichiuso.
E’ questa l’immagine di come la gente di Taino di ogni epoca ha sempre visto questo palazzo: dal di fuori, gettando un occhio furtivo attraverso lo spiraglio del portone. A questa dimora la maggior parte dei tainesi poteva accedere solo come servitori o coloni che portavano il frutto del loro faticoso lavoro – il vino, la legna, le foglie di gelso, le uova, il pollame – quale contributo dovuto ai signori padroni.
Un rapporto di dipendenza è esistito sempre tra la popolazione contadina e gli abitanti del palazzo, il quale – pur con una sua esistenza nettamente separata, anche fisicamente, dal centro del paese – ha avuto un ruolo fondamentale nella storia di Taino ed è stato il fulcro intorno al quale si è svolta la vita della popolazione per oltre tre secoli.
Esso sorge sul luogo dove vi era un castello, secondo quanto è affermato negli atti relativi ad una lunga lite che ha avuto corso tra la mensa Arcivescovile di Milano, prima proprietaria del castello, e la famiglia Serbelloni per il possesso dei beni siti nella Pieve di Angera.
Questa struttura fortificata era sorta, come in altri numerosi borghi della Lombardia, con funzione difensiva.
Fino a tutto il XVII secolo le contrade lungo la valle del Ticino erano sovente attraversate da eserciti e soldataglie sempre pronte a distruggere e depredare. I contadini, impauriti, trovavano un rifugio nelle mura del castello.
I Serbelloni entrarono in possesso del feudo e del castello di Taino a seguito del matrimonio tra Ottavia Balbi e Giovanni Battista Serbelloni nel 1572. Una volta risolta la lite con la mensa Arcivescovile in loro favore, i Serbelloni, a partire dalla fine del 1500, iniziarono i lavori di trasformazione del castello. Una volta cessata la necessità della struttura difensiva, il castello divenne “casa da nobile” di tipo rustico, cioè abitazione per il proprietario con annesse stalle e magazzini per la conservazione dei prodotti agricoli. Nel 1640 il palazzo è indicato nell’elenco dei beni livellati alla mensa Arcivescovile come “casa da nobile in Taino dove dicesi il castello con giardino annesso”. Nel catasto teresiano del 1730 come “Casa di propria abitazione con torchio da vino”.
Nel 1636 il palazzo fu gravemente danneggiato dalla scorribanda effettuata dai soldati francesi nel territorio di Taino dopo la battaglia di Tornavento. Dalla relazione sui danni subiti si ricavano alcune notizie circa la struttura del palazzo nel XVII secolo. Si estendeva su due piani, con ampi locali. Nella descrizione è fatto cenno ad “un sito di brazza dodeci in circa di grandezza per ogni parte destinato per sala e un altro sito grande di sala di larghezza di brazza venti et dodeci di lunghezza…. Un altro sito altre volte stalla assai grande con sopra cassina da fieno di tre cassi…”.
Nel XIX secolo il palazzo subì ulteriori modifiche : da grande cascina venne trasformata in una vera e propria villa signorile. Artefice di questa trasformazione fu inizialmente il conte Marco Serbelloni che nel 1786 ne era diventato unico proprietario a seguito della divisione del patrimonio familiare tra i quattro figli del duca Gabrio. Nell’elenco dei beni lasciati dal conte Marco alla sua morte nel 1837 si trova una minuziosa descrizione della villa. L’ingresso era dotato di un ricco portale in marmo rosa e grigio. All’interno si trovavano una sala da biliardo, sale da ricevimento con camini in marmo, “salone a destra della sala da bigliardo con aperture di comunicazione munite di antiporto, soffitto con travetti ed assi dipinto a fiori, camino di marmo nero sagomato all’antica”. Poi cucine, altre sale da pranzo, scaloni, dispense, stanze del tinello. La villa continuò comunque a mantenere la sua funzione di dimora di campagna, tant’è che in questo elenco sono segnalate le stalle, la stanza del bifolco, il cortile ad uso della polleria, il porcile, un locale ad uso di bottega del falegname, il sito del torchio, la tinaja, la stanza ad uso del prestino, un portichetto coperto con fornello per la fabbricazione dell’acquavite, la ghiacciaia e, annesso al palazzo, l’Oratorio dedicato alla Natività della Vergine, costruito nel 1813. Al piano superiore numerose stanze e stanzini con o senza camini.

Cortile del Palazzo Serbelloni – Corti

Altri abbellimenti furono portati poi dalla nipote, duchessa Maria e dal di lei figlio conte Giuseppe Crivelli.
Da un ulteriore elenco comprendente i beni del latifondo di Taino che nel 1888 la duchessa Maria Serbelloni diede in affitto per 12 anni al signor Morardet di Milano, si ricavano altre informazioni circa gli ampliamenti effettuati. E’ segnalata, ad esempio, la presenza di una ampia scuderia e di una rimessa, l’abitazione del fattore comprendente una cucina, una saletta, uno studio ed un locale ad uso archivio a pianterreno, tre camere da letto, uno stanzone e due stanze di passaggio con due sale d’accesso al piano superiore.
Nel 1906 i Serbelloni vendettero il palazzo al marchese Gaspare Corti che a sua volta intraprese grandi lavori di restauro. Ai terrazzini vennero posti ferri battuti, ancora oggi ben visibili, e la loggetta dell’ala nord fu rifatta utilizzando le colonnette provenienti dal Lazzaretto di Milano. L’acqua della fontana Gotta venne incanalata all’interno del palazzo che così fu dotato di acqua corrente e di impianto di riscaldamento. La villa fu utilizzata dai marchesi Corti essenzialmente come residenza estiva e di caccia. Grandi feste, ricevimenti con la presenza anche di personaggi reali, battute di caccia alla volpe, tra grande eleganza e sfarzo, si svolsero nel palazzo, fino alla fine degli anni ’30 in netto contrasto con la povertà della popolazione che poteva solo guardare con meraviglia, ma da lontano, attraverso lo spiraglio del portone.
Il palazzo, acquistato dalla società immobiliare “la Crivelletta” negli anni ’70, non ha trovato fino ad ora una utilizzazione consona ai nostri tempi, e, a chi lo guarda oggi, attraverso il portone socchiuso, appare come una vecchia signora, decadente e malandata, che conserva in silenzio e solitudine i ricordi del suo passato splendore.