La cascina Matilde ai Ronchi

 

Scene di vita rurale, anni venti. La foto ritrae la corte della cascina Matilde e la famiglia Gumier, mezzadri provenienti dal Veneto. Le due bimbe sono Lina Bielli, figlia del fattore Alfredo, e Luigina Gumier.

Per completare il percorso della storia rurale di Taino non si può non parlare delle cascine. Sono edifici oggigiorno quasi completamente scomparsi nella loro struttura originale e quei pochi ancora esistenti in paese sono stati radicalmente trasformati e adeguati alle esigenze della vita attuale.
Gli agricoltori tainesi sono oggi pochissimi (1,9% della popolazione attiva secondo i dati del censimento del 1991). I metodi di lavoro e i sistemi di allevamento degli animali si sono poi radicalmente modificati rispetto al passato, le famiglie non sono numerose, per cui non c’è più la necessità di disporre della classica cascina lombarda di un tempo. Le cascine tradizionali hanno però caratterizzato il territorio di Taino per lunghissimo tempo e la loro storia è anche la lunga storia del rapporto dell’uomo con la terra. La parola “cascina” fece la sua comparsa in un atto del XII secolo. Gli esperti ritengono che sia un vocabolo di origine lombarda derivante dal latino volgare “capsia” cioè recinto per le bestie (da “capsia” capsina e poi cascina). Altri invece che sia una trasformazione del termine “caseus” cacio: infatti la cascina non fu solo la dimora del contadino, ma prima di tutto un centro di lavoro per l’allevamento dei bovini, quindi carne, latte e produzione di latticini.

La forma tipica delle cascine di Taino era quella di costruzioni poste a schema quadrangolare intorno ad uno o più cortili con un corpo centrale su due piani per metà ad uso abitazione e per metà destinato a stalla e fienile con portico e rustico e solitamente con uno o due ingressi muniti di portone. Questa struttura chiusa o “a corte” rivela uno scopo difensivo e venne realizzata, a detta degli storici, a partire dalla seconda metà del 1600, perché, le turbolenze di quei tempi in cui le campagne erano infestate da bande di ventura e malaffare, avevano fatto nascere l’esigenza di proteggersi in qualche modo da violenze e furti. Questa struttura edilizia è perdurata fino all’inizio di questo secolo.
Fra tutte le cascine che vi erano a Taino l’unica che ha continuato a funzionare mantenendo la propria struttura originaria fino quasi a oggi è la Cascina Matilde ai Ronchi.
Questa cascina è certamente una tra le più antiche di Taino: la sua presenza è segnalata in un atto di rilievo dei beni di proprietà del conte Giuseppe Serbelloni datato 1 maggio 1847, nella descrizione dei caseggiati dati in affitto dalla nobile famiglia ai signori ing. Giacomo Cattaneo e Felice Franzi (1). La cascina Matilde è descritta come formata da:
-stanze ad uso bigattaia
– cucina con porta che mette al sottoscala
– stalle con finestre munite di serramenti
– sito di giorno coperto da ala di tetto fornito degli opportuni legnami.
Probabilmente la cascina era stata costruita in epoca precedente perché nella descrizione viene definita in mediocre stato di conservazione.
Dai documenti di archivio risulta poi che nel 1880 i coloni della cascina Matilde erano i signori Giovanella Giovanni e Marco.
In seguito le famiglie di Riva Virgilio e di Riva Vittorio abitarono la cascina lavorando le terre di proprietà della contessa Maria Serbelloni Crivelli che nel 1880 aveva dato tutto il suo latifondo di Taino in affitto per 12 anni al signor Morardet di Milano.
All’inizio del secolo i Serbelloni alienarono i loro beni che furono acquistati da una società formata dai signori Luzzani, Corni, Berrini e Quaglia. L’ing. Carlo Berrini di Taino tenne per sé la cascina Matilde e i terreni annessi e i suoi discendenti ne sono tuttora i proprietari. Carlo Berrini, ingegnere civile, fu persona di notevoli capacità imprenditoriali, visse ad Angera con la moglie Annunciata Cattaneo e i figli Gianpaolo e Amelia. Mantenne il legame con Taino, suo paese natale, attraverso la cascina Matilde nella quale si recava insieme alla famiglia soprattutto in estate e nel periodo della vendemmia. Nel 1916 fu l’ing. Carlo che segnalò agli studiosi la presenza nella sua cascina di Taino di un grande sarcofago romano in serizzo ghiandone privo di coperchio ed adibito ad abbeveratoio recante una iscrizione latina (2). Questo sarcofago tuttora esistente in loco è una preziosa testimonianza dell’origine romana di Taino.
Dopo la morte dell’ing. Carlo, avvenuta nel 1928, fu la signora Annunciata ad occuparsi della cascina con l’aiuto del fattore Alfredo Bielli. Sovrintendeva particolarmente all’allevamento dei bachi da seta curando di persona la raccolta dei bozzoli che avveniva con la collaborazione di numerose donne. La proprietà della cascina passò poi alla figlia Amelia ed a suo marito Riccardo Berrini. Amelia e Riccardo Berrini coi loro sei figli vissero per molti anni a Vietri vicino a Napoli dove Riccardo dirigeva la vetreria Ricciardi, ma la cascina Matilde fu sempre per loro un luogo importante e amato, tanto è vero che Riccardo vi si stabili una volta cessata la sua attività lavorativa.
Alfredo Bielli, detto Fredu, fu il fattore della famiglia Berrini a partire dal 1920 e visse nella cascina Matilde con la moglie Margherita e la figlia Lina fino al 1938. La vita nella cascina era attiva e varia, ogni stagione richiedeva determinati lavori come la potatura, la vendemmia, la spannocchiatura e la cura dei numerosi animali.
Lina Bielli Fugazzola ricorda questo luogo in cui visse l’infanzia come un piccolo eden. L’ambiente circostante la cascina era estremamente gradevole: il Monte della Croce era tutto un vigneto, inframmezzato da alberi d’ulivo i cui rami venivano colti per la festa delle Palme. Dovunque alberi da frutta e castagni, in cima al monte una corona di pini che sembravano vegliare sul monumento fatto erigere nel 1929 dal marchese Gaspare Corti a ricordo di Gianpaolo Berrini, figlio di Carlo, caduto ventenne nella prima guerra mondiale.

 

Il palazzo Serbelloni-Corti, e sulle pendici del Monte della Croce, la cascina ai Ronchi. La foto, dei primi anni di questo secolo, ritrae i vigneti, i boschi e la corona di alti pini, oggi abbattuti, sulla sommità della collina.

Intorno agli anni ‘ 30 si verificò il fenomeno dell’immigrazione dal Veneto di famiglie contadine che non trovavano nei loro paesi d’origine lavoro sufficiente.
Alla cascina Matilde si stabilì dapprima la famiglia Gumier proveniente da Quinto di Treviso e poi la famiglia Giraldo originaria di Coresolla in provincia di Padova. Nel 1931 giunsero a Taino 6 fratelli Giraldo con 6 loro cugini, nel 1938 tutta la famiglia composta da 14 persone si riunì nella cascina Matilde.
Con un contratto a mezzadria condussero la cascina fino al 1940. Nel settembre 1942 la cascina fu occupata dalla famiglia Vavassori originaria di Soncino in provincia di Cremona. Anche questa famiglia era numerosa e di stampo patriarcale. La nonna Elisabetta, vedova con 14 figli, dirigeva insieme alle altre donne della famiglia la casa e la corte, mentre suo figlio primogenito Paolo col fratello Angelo si occupava del lavoro dei campi e degli animali. Dopo la morte di Paolo nel 1947, i Vavassori incontrarono difficoltà nella gestione della fattoria che abbandonarono nel 1951. Un’altra famiglia ne prese il posto: i Perdoncin, provenienti da Due Ville in provincia di Vicenza. Domenico Perdoncin con la moglie Stella e i loro 12 figli rimasero alla cascina Matilde per vent’anni lavorando oltre 400 pertiche di vigna, prato e bosco e allevando una media di 36/37 mucche da latte e vitelli. Nel 1971 Silvano e Michela Meneghini, provenienti da Arsago Seprio, si stabilirono ai Ronchi con i figli. I Meneghini sono stati l’ultima famiglia contadina a risiedere alla cascina Matilde che hanno lasciato solo qualche anno fa, nel 1990.
Possiamo considerare la cascina Matilde ai Ronchi un po’ come l’emblema del mondo contadino tainese che ha sempre visto nella terra e nei suoi prodotti la base indispensabile alla propria esistenza ed ha concepito la propria vita in funzione di essa. Anche quando i membri delle varie famiglie trovavano lavoro altrove o nelle fabbriche locali all’interno della comunità rurale, a Taino si dimostrò comunque un profondo attaccamento alla terra e al duro lavoro che questa ha sempre comportato.

Scene di vita rurale, anni venti. La foto ritrae la corte della cascina Matilde e la famiglia Gumier, mezzadri provenienti dal Veneto. Le due bimbe sono Lina Bielli, figlia del fattore Alfredo, e Luigina Gumier.

NOTE

(1) Oltre alla cascina Matilde, ne sono elencate altre di proprietà Serbelloni quali Cascina Amelia – Caseggiato detto Lo Stallazzo – Corte dei Campari in contrada della Torre – Cascina detta Canova – Caseggiato del Prato del Bosco – Cascina Monzeglio (tra tutte la più grande) – Cascina Marianna – Cascina del Campello – Caseggiato detto Lo Stallo del Mobiglia – Caseggiato detto il Bisoccio – Cascine Rossere – Caseggiato detto dei Martorini (ASM – Fondo Serbelloni – 1a Serie – cart. 60 – fasc. 94)

(2) E’ un sarcofago con dimensioni di m.2,34X0,92X0,70. Sulla fronte si legge
V(ivus) F(ecit
C(aius) GEMINVS
TERES
IN AGR(0) LATVS XXV
LONGVS P(edes) XXXV
H(oc) M(onumentum) H(aeredem) N(on)
S(equetur)

E significa: Vivente fece Cajo Geminio Terete. Il sepolcro misura 25 piedi in larghezza e 35 in lunghezza. Questo monumento non passerà al mio erede. Era costume frequente presso i Romani di costruirsi il sepolcro in vita per timore di non avere sepoltura in morte e questo perchè essi ritenevano che le anime degli insepolti errassero gemebonde intorno ai sepolcri, senza tregua sin quando ai corpi non venisse concesso il riposo della tomba.
Le sigle H.M.H.N.S. venivano usate quando si voleva che il sepolcro fosse strettameiite personale ed impedirne l’uso anche al proprio erede. (da: Rivista Archeolocica Comense – fasc. 76-77-78 Anni 1917-1918)