La civiltà del castagno

a cura della Redazione

Gli alberi di castagno, che oggi crescono abbondanti e spontanei nei nostri boschi, hanno avuto un ruolo fondamentale nel sistema di produzione agricola che ha caratterizzato per secoli l’economia di Taino. Generazioni di tainesi hanno prestato cura ed attenzione al castagno da cui ricavavano svariati prodotti.
Dal tronco si ottenevano travi per l’armatura delle case e travetti da tetto, grazie all’elasticità del suo legno simile a quello della quercia ma con il vantaggio di avere minor peso, sebbene il castagno si guasti più facilmente se esposto alle intemperie. Ancora verde veniva utilizzato in lavori sott’acqua perchè, se costantemente immerso, indurisce e diventa quasi incorruttibile. Quindi fu assai valido nella costruzione di acquedotti sotterranei, di palafitte e argini ecc.
Dai suoi rami i contadini ricavavano cerchi da botte e pali, questi ultimi utilizzati particolarmente per i vigneti, per ottenere i quali si applicava una tecnica di potatura atta a ottenere produzione di rami dritti e sottili. Ancora oggi nei boschi si notano alberi o ceppi che mostrano i segni di questa coltura. Fondamentale fu poi il suo uso come combustibile, soprattutto per far cuocere i cibi e, sebbene bruci con rapidità, per riscaldarsi. Del castagno tutto veniva utilizzato. Le radici, che danno un legno vagamente marezzato, si usavano nei lavori da ebanista, la corteccia nella concia delle pelli e da schegge e segatura messe in fusione si ricavava l’inchiostro. Le muffe che crescono intorno all’albero di castagno erano un medicamento per ferite e tagli. Grande fu poi il consumo di castagne e di marroni come alimento. Fresche o leggermente appasite si mangiavano lessate o abbrustolite al fuoco. Ma la maggior parte si facevano seccare al sole, al forno o nei seccatoi per conservarle tutto l’anno.
Il seccatoio consisteva in una piccola costruzione accanto alle case rustiche, composta da due camere, l’una sovrapposta all’altra, divise, invece che dal soffitto, da un graticcio fatto con bacchette di legno. Sul graticcio si deponevano le castagne sino all’altezza di un metro, poi si accendeva il fuoco nel centro della camera di sotto adoperando legni tagliati da poco per mandare molto fumo e poca fiamma badando che il fuoco non si appiccasse al graticcio e rivoltando le castagne di tanto in tanto in modo che si seccassero tutte egualmente. Ciò ottenuto, le castagne venivano sgusciate con un metodo un po’ rudimentale ma efficace. Sacchi di tela grossolana venivano riempiti per metà di castagne abbrustolite e sbattuti su ceppi di legno. Le castagne così liberate dall’involucro venivano poste in sacchi o casse di legno e mangiate nel corso dell’anno o ridotte in farina per farne una sorta di pane dolce e piacevole, assai nutriente e di facile digestione che sostituiva, nei periodi di scarsa produzione di grano, il pane vero e proprio. Negli anni in cui la campagna veniva colpita da grande siccità o da abbondanti piogge e grandinate, i raccolti erano ridotti e non sufficienti a sfamare le famiglie contadine, in genere assai numerose, che non sarebbero sopravvissute nel lungo inverno se non ci fossero stati i frutti del castagno.
Molti alberi di castagno sono memoria del nostro passato, emblemi veri e propri del tipo di civiltà contadina che si è sviluppata a Taino; un mondo oggi scomparso, i cui segni sono forse solo rintracciabili in quei grossi e antichi castagni, ancora presenti nei nostri boschi, i cui tronchi, per le trasformazioni subite, hanno strane e grottesche forme.