Tradizioni di Taino nell’epoca rurale

a cura di Laura Tirelli

In riferimento al suggerimento espresso da molti sull’opportunità di realizzare a Taino una mostra permanente della vita agricola per non perdere il ricordo della civiltà contadina che è la base della storia del nostro paese, abbiamo ricostruito, anche per incoraggiare questa iniziativa e dare un piccolo contributo, con l’aiuto di Pina e Serena Ghiringhelli alcune tradizioni e rituali tipici del mondo rurale tainese che per generazione dopo generazione sono stati sempre gli stessi.

RITUALI DEL PERIODO INVERNALE

L’anno nel mondo contadino non aveva inizio a gennaio, bensì a novembre. Il ciclo agricolo cominciava un tempo con la svinatura (per San Martino a diventa vecc tut el vin). E’ importante notare che l’inizio del calendario celtico (1) era fissato al primo del mese di novembre.
Da Natale a gennaio il rituale più caratteristico era quello del ceppo (sciuc) che si metteva sul camino familiare alla mezzanotte della vigilia di Natale e che doveva bruciare fino al giorno di Santo Stefano. I carboni residui e la cenere servivano poi a vari scopi. Essi venivano messi da parte e riaccesi in occasione di temporali, mentre la cenere veniva impiegata per tracciare delle croci nei poderi per tenere lontana la grandine e per allontanare le malattie del baco da seta.
Nel giorno di Natale, dalla tavola si toglieva un pane per essere conservato e mangiato poi nel giorno di S. Biagio a protezione del mal di gola. Un altro particolare del Natale era quello di attingere alla mezzanotte in punto l’acqua alla fonte del Zinesco che si riteneva “benedetta” dalla nascita di Cristo. Era un gran correre con brocche e mastelli per raccogliere questa acqua e vi era una specie di gara a chi arrivava per primo e puntualissimo allo scoccare della mezzanotte. Questa veniva poi spruzzata sulle pareti delle stanze dove si sarebbero allevati i bachi da seta pronunciando nello stesso tempo le parole “tant acqua tant galet”. (bozzoli)
L’allevamento del baco da seta era estremamente importante perchè il ricavato dei bozzoli forniva una preziosa integrazione al bilancio familiare. Per proteggere i semi dei bachi le donne si recavano in processione il 3 maggio al Monte della Croce in modo da usufruire dei benefici effetti di quella cerimonia dedicata alla prosperità dell’agricoltura.

RITUALI PER I RACCOLTI

La fienagione comprendeva una serie di operazioni: La falciatura dell’erba veniva eseguita a mano nelle prime ore del mattino perché l’erba, ancora umida dalla rugiada, era più facile da tagliare. Questa, esposta al sole, veniva poi rivoltata frequentemente. Nel tradizionale uso contadino era la donna che si occupava di spargere l’erba.
Le fienagioni eseguite nel corso dell’anno erano tre: la prima “maggeng”, la seconda “vustan” (agostana) e infine la “terzoe” (terzola) perchè era il terzo taglio che veniva eseguito tra la metà di settembre e la metà di ottobre.
Anche la mietitura aveva un suo rituale: doveva obbligatoriamente essere iniziata nel giorno di S. Giovanni, 24 giugno. Se il grano non era per quel giorno ancora maturo si provvedeva a tagliarne simbolicamente una falciata, rimandando la mietitura a maturazione avvenuta.
Una volta raccolto, il grano veniva battuto col “tresc” sulle aie al “Pra dal bosc” o nel “curtil di Picaia” (via Piave), con la grossa pala, chiamata “vanturà” si toglieva la “pula”, si passava al setaccio, detto “cribi” e poi posto nei sacchi veniva portato al mulino di Oriano (ancora esistente) o al mulino in Bruschera, per ricavarne la farina. Tutte queste operazioni venivano svolte collettivamente, i contadini si aiutavano l’un l’altro mostrando notevole abilità nell’uso di questi attrezzi arcaici, prima dell’introduzione delle macchine agricole. E’ rimasta famosa Carolina Ghiringhelli per l’abilità e la velocità con la quale sapeva usare il “tresc” in competizione con gli uomini.
Anche la scartocciatura del granoturco avveniva sull’aia e rappresentava un importante avvenimento anche per i canti in coro che uomini, donne e ragazzi effettuavano durante il lavoro. “Sfuià al margun”, cioè asportare le foglie dalle pannocchie, non era considerata una fatica, anzi, ai giovanotti in particolare faceva piacere, perché era un momento per stare insieme e poter fare la corte alle ragazze. Seguiva la sgranatura con una rudimentale macchina a funzione manuale manovrata da robusti giovani. Tra i prodotti agricoli di Taino, una certa importanza ebbe la vite; il monte della Croce era tutto un vigneto e così molte altre parti degli attuali boschi. Non si può dire che il vino prodotto fosse eccezionale, serviva però egregiamente ai bisogni familiari. Dopo la pigiatura si caricavano i resti dell’uva, le vinacce, su carri e portati ad Angera alla Distilleria Rossi per ricavarne la grappa. Arrivavano anche carri da paesi vicini ed era tradizione fermarsi alla fontana posta al bivio di Cheglio per abbeverare i cavalli. Il mondo contadino aveva tanti momenti di vita collettiva, oggi inimmaginabili a cui erano legati riti e tradizioni. I mezzi erano pochi però utilizzabili da tutti, come ad esempio i forni per la cottura del pane, che si preparava in casa e poi si portava a cuocere nel forno del “Capeta” (Carlo Mira d’Ercole) in via Fabio Filzi o in quello del “Cec” (Sig. Baira) alla Madonnina.

NOTA:
(1) I Celti erano popolazioni provenienti dal centro Europa che hanno dominato la nostra zona e altre parti d’Italia prima dell’avvento dei Romani. Numerose sono ancora oggi espressioni del mondo celtico presenti nella nostra cultura.