Nella chiesetta del ex-Palazzo Serbelloni dedicata alla Natività di Maria, ci sono due mezzibusti in terracotta posti nei vani delle due finestre a fianco dell’ingresso che rappresentano l’uno San Pietro con le chiavi e l’altro Cristo coi polsi legati.
Questi due busti di proprietà, come tutto l’arredo della chiesetta, della Parrocchia, sono l’unica testimonianza artistica, a Taino, del neoclassicismo, una tendenza sorta in reazione al barocco e che volle ripristinare nell’arte e nella letteratura i canoni di armonia e bellezza del mondo classico greco-romano. Il neoclassicismo ebbe il suo massimo splendore in epoca Napoleonica. Nella scultura italiana i massimi rappresentanti sono stati Canova, Bartolini e Thorwaldsen ai cui canoni si ispirò l’autore dei nostri due busti: lo scultore GIAN BATTISTA COMOLLI.
Questo artista, nato in Piemonte, a Valenza nel 1775 e morto a Milano nel 1831, ebbe alla sua epoca una certa rinomanza. Eseguì numerosi busti di Napoleone, di cui uno colossale in marmo, con la fronte cinta dalla corona ferrea, si trova oggi presso il Museo del Risorgimento di Milano. Altre sue opere sono in Francia dove l’artista si trasferì dopo la caduta della Repubblica Romana (1799) e dove ebbe numerose commissioni di busti-ritratto che furono la sua specialità. Il suo lavoro gli portò fama e notorietà e nel 1800 fu eletto membro del Liceo di Scienze e di Arti di Grenoble e contemporaneamente il Governo Piemontese gli affidò la direzione della Scuola di Scultura. Con Napoleone le Arti ebbero una grande fioritura e grandi opportunità si crearono per gli artisti con le commissioni pubbliche a cominciare dagli apparati per feste e celebrazioni civili. A Gian Battista Comolli fu affidato l’incarico di responsabile dell’allestimento delle feste per le quali eseguì sovente delle creazioni personali.
La sua opera più famosa è un gruppo scultoreo intitolato “Beatrice che consola Dante della profezia sull’esilio indicandogli la giustizia superiore” che terminata nel 1810 fu posta nella cittadina di Bellagio, sul lago di Como. Caduto Napoleone, per il nostro artista arrivarono tempi grami. Con la Restaurazione austriaca, a seguito della sua commistione con il precedente regime, perse l’incarico di professore all’ateneo e nel 1822 fu pure arrestato con l’accusa di tradimento perchè sospetto di far parte della “carboneria” e di essere a conoscenza delle cospirazioni per le quali furono mandati allo Spielberg Silvio Pellico e Federico Confalonieri. L’anno successivo venne però liberato per mancanza di prove. Fu durante la prigionia che realizzò i due busti che sono a Taino. Infatti sul retro del busto del Cristo è incisa la frase “G.B.Comolli fece in carcere nel 1822” e il breve commento: “Ah Signor mio quando sarò io lieto?”. Poche parole che però trasmettono tutta la sofferenza dell’autore il quale forse, in quel periodo difficile della sua vita, si indirizzò verso soggetti religiosi cercando conforto nella fede. Se guardiamo con attenzione il busto del Cristo legato, si legge, nell’espressione del volto, un grande dolore, una profonda sofferenza, ma nello stesso tempo traspare un invito alla serenità, alla speranza. Possiamo dire che lo scultore ha saputo davvero concretizzare in questa sua opera quello che per tutti gli artisti neoclassici era il fine delle Belle Arti: “giovare alla comunità, occupandosi di ciò che è sacro al bene pubblico e alla virtù”.