Tra le tante storie di emigranti tainesi, eccone due, raccontate dai loro bisnipoti, quale esempio delle difficoltà e dei sacrifici sopportati da tutti coloro che andarono a cercar fortuna lontano dal proprio paese, ai quali va tutto il nostro rispetto e considerazione.
” La mia bisnonna è nata a Taino nel 1891. Al tempo della guerra 1914-1918 ha conosciuto un soldato cecoslovacco prigioniero a Taino, si sono sposati e nel 1920 è nato il primo figlio. In Italia non c’era lavoro, così emigrarono in Francia, in una zona dove vi erano già altri tainesi.
Arrivati dopo un viaggio in treno di due giorni, si trovarono in un posto completamente distrutto dalla guerra, vicino alla Germania, con delle grandi foreste e niente case, soltanto baracche di legno. Non c’erano strade e faceva tanto freddo. Poi piano piano costruirono le case e le strade. Il bisnonno lavorava come imbianchino, la bisnonna badava alla casa, siccome però non c’erano tanti uomini che con loro avevano la moglie, lei lavava la loro biancheria e faceva da mangiare per gli altri emigranti.
Nel 1924 nacque la mia nonna, a Baucenville, nel 1926 un altro figlio.
Rimasero in quella regione per circa 10 anni. La nonna si ricorda che mentre scavavano per costruire le case, molte volte, si trovavano degli scheletri di soldati perchè quella zona era stata un campo di battaglia e i bambini guardavano incuriositi. La domenica non c’era nessun divertimento, gli uomini andavano a caccia, perchè c’era tanta selvaggina. Una volta la nonna ricorda che i cacciatori presero una intera famiglia di volpi.
Quando c’era freddo e cadeva tanta neve, i cinghiali uscivano dalla foresta e si avvicinavano alle case per cercare cibo.
Nel 1930 si trasferirono vicino a Parigi e lì rimasero fino al 1941.
Nel frattempo era scoppiata un’altra guerra, la II guerra mondiale, con bombardamenti tremendi che distruggevano tutte le case e la gente scappava terrorrizzata.
La nonna, però, in quel periodo si trovava a Taino, era venuta a fare una vacanza e non era più potuta tornare in Francia perchè le frontiere erano state chiuse. Il bisnonno ed il figlio maggiore andarono a combattere per la Francia. Il bisnonno fu preso prigioniero e internato in Germania, suo figlio riuscì invece a scappare nella Francia libera e combattè contro i tedeschi.
La bisnonna rimpatriò con il figlio più piccolo, a Taino aveva i genitori e le sorelle. Dopo 20 anni di sacrifici si ritrovò però senza niente e senza sapere se il marito ed il figlio maggiore fossero ancora vivi. Dopo 2 anni il bisnonno raggiunse la moglie a Taino, ma non volle rimanerci, tornò in Cecoslovacchia, suo terra d’origine.
Quando questo paese fu occupato dai Russi, il bisnonno sparì. Di lui la famiglia non ebbe più notizie, non si è mai saputo che fine avesse fatto.”
Ambra Nicò
” Il mio bisnonno Carlo Mobiglia nacque a Taino nel 1895 da Ambrogio e Maria Gianella. Primo figlio maschio di cinque fratelli e sorelle, a soli 11 anni, dopo aver frequentato la locale scuola elementare fino al compimento dell’obbligo che allora era fino alla classe 3°andò a lavorare a Milano come manovale presso un’impresa edile. Era stato costretto a cercar lavoro lontano perchè la crescita demografica della zona non era accompagnata da sviluppo industriale o agricolo. Allora quasi tutta le terre erano di proprietà dei Serbelloni.
A 14 anni si recò a lavorare prima come manovale poi come minatore in Francia, nelle vicinanze di Nizza.
Fece il viaggio a piedi con alcuni ragazzi della sua stessa età, accompagnati dai muratori della zona che avevano bisogno della manodopera giovanile italiana che veniva pagata poco.
La misera paga appena sufficiente alla sopravvivenza e il desiderio di ritornare in famiglia furono il motivo del rientro in Italia dopo 2 anni.
Nel 1912, a 17 anni, la mancanza di lavoro lo fece ripartire di nuovo come emigrante. Si recò nell’America del nord, a Placerville, nello stato della California, vicino alla città di Sacramento. Fu spinto a questo passo dalle due sorelle maggiori Luigina e Desolina già emigrate in USA da due anni con i rispettivi mariti.
Partì dal porto di Genova con un misero bagaglio tutto racchiuso in una valigia di cartone. Impiegò 30 giorni di navigazione prima di giungere al porto di New York. Durante la traversata, siccome era il più piccolo, gli altri emigranti lo derubavano spesso del cibo che possedeva, i marinai dell’equipaggio però cercavano di proteggerlo e a volte gli offrivano cibo caldo.
Giunti al porto americano, tutti gli emigranti venivano smistati verso i vari treni e al cappello di ciascuno veniva fissato un biglietto indicante la destinazione. Nessun emigrante, infatti, conosceva la lingua inglese e da solo non sarebbe stato in grado di gestirsi il lungo viaggio. Viaggiò per 7 giorni prima di arrivare a Placerville, alla stazione trovò ad attenderlo le due sorelle e i cognati. Dopo qualche giorno di riposo iniziò a lavorare come boscaiolo nelle grandi foreste dell’Eldorado.
Il lavoro era faticoso e senza giorni di riposo, dall’alba al tramonto a meno 20 gradi d’inverno, con un caldo soffocante d’estate. I boscaioli dovevano abbattere alberi altissimi anche 100 metri nella foresta fittissima, solo con la scure, poi tagliarli a pezzi lunghi circa 4 metri,legare i tronchi assieme e buttarli nel fiume lì vicino. La corrente dell’acqua li trasportava a valle fino alle segherie che distavano qualche centinaio di chilometri. Il cibo consisteva in zuppa di legumi, di preferenza fagioli, e selvaggina che veniva catturata dagli stessi emigranti, unica bevanda oltre all’acqua era il caffè americano.
Allo scoppio della I guerra mondiale sarebbe dovuto rientrare in Italia, ma un improvviso attacco di “febbre spagnola” lo costrinse a restare. Ritornò nel 1921 con un bel gruzzolo di risparmi che si era guadagnato con tanta, tantissima fatica.
Il papà e gli zii quando parlano del loro nonno dicono che lui, ricordando il suo periodo di emigrante ripeteva spesso: ” in Francia ma ciamavan Charlot(Sciarlò), in America, Charlie(Ciarli)”
Davide Mobiglia