di Laura Tirelli
Don Giuseppe Brivio, Parroco di Taino dal 1945 al 1972, nacque a Montevecchia in provincia di Como il 7 ottobre 1900.
Ordinato sacerdote nel 1923 fu prima coadiutore per 12 anni presso la Parrocchia di Briosco, poi Parroco di Taino per 26 anni. Nel 1972, anziano e stanco, lasciò la Parrocchia e si ritirò presso la casa di riposo S.Giuseppe di Viggiù dove spirò il 16 marzo 1990.
Uomo semplice, visse con grande convinzione e umiltà la propria fede religiosa. Fu sempre poco interessato alle cose materiali e nulla mai chiese per sè e ben poco anche per le necessità della Chiesa. Quando gli fu affidata la Parrocchia di Taino era da pochi mesi morto don Martino Vignati, un sacerdote che fu molto amato dalla popolazione, ma che, a causa delle precarie condizioni di salute, negli ultimi anni di vita non sempre potè dare ai suoi parrocchiani l’attenzione necessaria. La guerra aveva profondamente segnato la popolazione, i lutti e le privazioni erano ben visibili sui volti e nell’animo della gente.
Non fu certo un inizio facile per il nuovo Parroco.
Seguirono poi gli anni della crescita economica, delle trasformazioni sociali e politiche. L’attività agricola che era stata per secoli prevalente nel paese, venne a poco a poco abbandonata; la gente lavorava duramente, spinta da un impulso profondo, da un desiderio invincibile di farla finita con la povertà, tutti risparmiavano fino all’osso per costruirsi una casa, per acquistare una “Vespa” o la mitica “Seicento” e raggiungere il traguardo del benessere. Tutta questa ricerca dei beni materiali forse inaridiva un po’ gli animi e il ritmo sempre più frenetico della vita quotidiana lasciava poco tempo da dedicare alla pratiche religiose. Don Brivio, coerente con la sua fede, richiamava i fedeli alla realtà della vita spirituale. Usava un linguaggio schietto e duro, non era un uomo da compromessi. La sua parola fu sempre chiara ed incisiva.
Vennero gli anni del bikini proibito, del flipper, del rock’n’roll, della “gioventù bruciata” alla James Dean e don Brivio tuonava pesantemente dal pulpito contro queste “mode” dei giovani che favorivano, a suo parere, un’eccesiva liberalità tra i sessi e una conseguente mancanza di rispetto reciproco, valore per lui irrinunciabile. Tanto fu severo e impetuoso nelle sue prediche domenicali, così fu generoso e semplice nei rapporti privati. Comprendeva e condivideva la sofferenza degli altri e fu sempre pronto a dare una mano, un aiuto anche per le cose più banali. Un piccolo episodio è significativo della sua sensibilità di uomo e di sacerdote: Carla Ghiringhelli era molto angosciata per la figlia ricoverata all’Ospedale di Gallarate per un intervento chirurgico. Don Brivo sapeva che questa madre, sola e vedova, stava vivendo un periodo difficile, le fu vicino e si recò personalmente a Gallarate per affidare alle cure del sacerdote dell’Ospedale le sue due parrocchiane.
Quelli di don Brivio furono anche gli anni della guerra fredda, delle travolgenti passioni politiche, della lotta aperta tra i sostenitori della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista, lotta che spesso si trasformava in una vera e propria faziosità da tifoseria alla “Bartali o Coppi”, alla “Milan o Inter”, e don Brivio prese posizioni chiare, si impegnò a fondo contro l’ateismo comunista, la sua fu una vera battaglia per la verità, per la libertà.
Gli anni Cinquanta del 1900 erano iniziati con le celebrazioni dell’Anno Santo e si chiusero con l’urlo gioioso di Domenico Modugno “Volare”. Fu sempre più difficile per don Brivio seguire i tempi. I ragazzi del “baby boom” erano cresciuti ben nutriti, sani e più istruiti, ma sempre meno influenzati dalla parola della Chiesa e sempre più dal cinema e dalla televisione.
Cambiarono i tempi anche per la Chiesa: in contrasto con lo stile severo di Pio XII, Papa Giovanni XXIII invitò alla speranza e alla serenità. Il Concilio Vaticano II che iniziò alla fine del 1962 introdusse grandi novità sconvolgendo le relazioni tra i membri della Chiesa e i fedeli, e per un vecchio prete che proprio nel 1963 festeggiò i suoi 40 anni di sacerdozio, fu difficile condividere quello spirito innovatore che sembrava distruggere una tradizione secolare.
La mancanza di limiti e la tracotanza dei giovani non erano accettabili per don Brivio che non si peritava di denunciare pubblicamente “le debolezze” del suo gregge. Le sue parole non erano molto ascoltate e i ragazzi, inquieti e ribelli, si scatenavano ballando il “twist” al Cral, si innamoravano con le note di “Sapore di sale” ed andavano, nonostante le rampogne del Parroco, ad amoreggiare la sera nell’oscurità del viale dei Carpini. Dietro la facciata di modernità e di disinvoltura c’era però un paese fragile, una società divisa. Si scambiava un po’ di benessere per il culmine della civiltà. L’altra faccia dei gioiosi anni Sessanta venne messa a nudo con l’esplosione del ’68. Dapprima fu un botto di vitalità, una protesta forte che affascinò i giovani tainesi di allora “politicamente impegnati”, poi il 12 dicembre 1969 fu il boato della bomba di piazza Fontana a Milano che fece svanire nel silenzio e nel lutto la grande illusione.
Che avesse ragione don Brivio…?