a cura della Redazione
Ci sono esperienze nella vita che lasciano un segno indelebile e che influenzano in modo determinante l’impostazione globale della propria esistenza. Così è avvenuto per Camillo Berti che ha trascorso all’età’di 21 anni più di un anno nel centro Africa come missionario laico in un villaggio sperduto nella foresta, in mezzo a gente poverissima.
Camillo, oggi quarantaquattrenne e padre di famiglia, giudica questa sua esperienza giovanile come l’arricchimento più importante alla sua formazione spirituale ed umana, nonostante abbia pagato un alto prezzo. Fu infatti colpito da una gravissima forma di vaiolo preso dalle scimmie, dal quale si salvò quasi per miracolo e di cui ancora oggi ne soffre le conseguenze.
Cosa spinse Camillo verso questa impegnativa scelta?
Innanzitutto il suo interesse, manifestatosi fin da ragazzino per il mondo delle Missioni, poi l’esperienza vissuta con altri giovani nei campi di lavoro estivi per raccogliere fondi da inviare alle Missioni e la frequenza ai corsi organizzati dal G.I.M. (giovani impegno missionario). Fondamentale fu anche il suo incontro a Spello con padre Carlo Carretto dei Piccoli Fratelli di Charles de Focault, religioso di grande spiritualità, ma la vera vocazione per la Missione, Camillo la trovò in se stesso, nella propria coscienza, nel convincimento che “ogni uomo è mio fratello e io devo aiutarlo”.
Non fu facile per Camillo essere accettato come missionario laico presso i padri Comboniani (1), fu infatti il primo laico a far parte di una missione comboniana nel cuore dell’Africa. Prima di raggiungere la sua destinazione, Camillo trascorse alcuni mesi a Parigi per apprendere il francese ed altri nel nord Zaire a studiare l’ingala, la lingua del posto, assai difficile per un europeo. Finalmente nel novembre del 1975 raggiunse la missione di Dakwa, nel centro del Congo, in mezzo alla savana, in una regione con un clima terribile, 40 gradi all’ombra con 90% di umidità. Questa missione era stata abbandonata e riaperta solo da poco da tre padre comboniani ai quali si unì Camillo. Il territorio della missione era vastissimo, grande quasi come tutta la Lombardia, comprendeva 75 capelle da seguire, più una scuola e un ospedale. La popolazione viveva tra grandi difficoltà, mancava di tutto, nessuna organizzazione sociale o statale, si procurava il cibo con la caccia o la coltivazione di magnoca, riso e arachidi. Mancavano i mezzi per effettuare degli scambi commerciali. La gente del posto fu molto felice di rivedere i missionari, per loro significava un aiuto concreto, non si sentivano più in stato di abbandono. Camillo si occupò di creare una minima organizzazione tecnico-economica, riuscì ad acquistare un camion per commercializzare i prodotti locali, fece scavare pozzi per l’acqua, mise in opera una scuola di falegnameria. Il lavoro era tanto e faticoso, ma Camillo era felice perchè aveva stabilito un profondo rapporto di amicizia con gli africani: “è gente, dice, con un gran senso dell’ospitalità e all’ospite danno tutto, anche se loro hanno pochissimo. Sono spontanei, privi di prevenzioni o schemi precostituiti. Fu arduo, una volta tornato a casa, riadattarmi alla più complessa mentalità italiana. Questa esperienza mi ha arricchito e aiutato a vivere”.
Nota
(1) I Padri Comboniani sono un ordine missionario fondato nel 1867 a Verona da padre Daniele Comboni, beatificato lo scorso anno dal Papa. Questo apostolo delle Missioni fu uno di quegli uomini eccezionali che aveva compreso, con largo anticipo sui tempi, che bisognava aiutare l’Africa con gli africani, istruendo e preparando soprattutto i giovani. Il suo motto “salvare l’Africa con l’Africa” è oggi il programma di 4000 missionari che seguono le sue orme nell’opera di evangelizzazione e promozione umana, a prezzo, molto spesso, della loro vita e della loro salute.