di Laura Tirelli
IL DOPOGUERRA
Nel 1918, al termine della prima guerra mondiale, i reduci tornarono a casa e Taino si trovò a fare i conti di quello che la guerra era costata, in termini umani, alla sua popolazione.
Ventiquattro soldati erano caduti in combattimento, quattro dei quali furono dichiarati dispersi: il soldato Giuseppe Giovanella e Antonio De Bernardi che si trovava sul fronte macedone, Emilio Cova e Giuseppe Binda, entrambi dispersi sul Carso. Cinque giovani morirono per malattie contratte al fronte nel 1918, un altro Luigi Pedrizzetti nel febbraio 1919 in uno ospedale da campo in Bulgaria per febbre enterica e infine il soldato Giuseppe Cogliati, sempre a seguito di malattia contratta in guerra, nel 1922 a Berna.
Ma le morti non erano terminate, la guerra aveva portato come conseguenza una disastrosa epidemia, chiamata “la spagnola”, che provocò febbri altissime e che fu causa di morte di diverse persone, tra cui Cesare Berrini e Amalia Paietta.
Durante gli anni di guerra Taino soffrì di una pesante recessione economica. La situazione delle famiglie dei militari è dal Comune così descritta in una relazione al Consiglio Provinciale del 1916: “le famiglie del paese constano di rimpatriati disoccupati e giovani alle armi….. I raccolti delle campagne a causa della stagione sfavorevole furono molto scarsi. Le industrie locali e vicinori che procuravano un po’ di lavoro alla popolazione, come la Polveriera Davey Bickford Smith, la fornace di latterizi ing. Rodolfo, la vetreria a S.Anna vennero sospese per causa della guerra per cui questa popolazione trovasi in grande bisogno di aiuto”.
I soldati al ritorno dal fronte dovettero affrontare non poche difficoltà. Nel giugno 1919 il pane era ancora razionato e la gente per avere un sufficiente approviggionamento ricorreva al contrabbando (“Il Resegone”, 14 giugno 1919). Il lavoro mancava e per dare una occupazione ai più bisognosi nella stagione invernale, fino all’inizio dei lavori in campagna, il marchese Corti fece costruire una strada con un percorso di m.1800 che collegava la strada comunale con quella provinciale per Angera e Sesto, passando sotto il ponte dei Ranzitt per evitare così il passaggio a livello e la forte pendenza della salita del Motto. (“Il Resegone”, 30 agosto 1919).
Anche i contadini erano in stato di agitazione, i coloni della casa Bordini nel giugno 1919 presentarono con l’assistenza dell’Unione Rurale di Taino e dintorni un memoriale per chiedere la riforma del patto colonico.
Il “Resegone” del 5 luglio 1919 riporta che “in seguito a questo movimento torna a circolare la voce che la signora Bordini intende vendere la sua tenuta. Se la decisione della proprietaria è tale ci consta che i coloni (i quali sono ben quarantaquattro) sono disposti a comprare l’intera tenuta. Nutriamo fiducia che in tal caso la signora proprietaria vorrà usare co’ i suoi vecchi coloni tutte quelle agevolezze che rendano a loro meno gravosa la compera e facciano della signora Giulia Bordini una persona meritevole della gratitudine dei contadini e del plauso degli uomini di buon cuore”. Ma purtroppo per i coloni, nessun “buon cuore” venne in loro aiuto e ” o per malevolenza di qualche interessato, o per la poca fiducia nella solvibilità dei coloni, le masserie furono vendute a dei mercanti. I quali, avendo comperato a un prezzo molto vicinissimo a quello offerto dai coloni, evidentemente non vorranno tralasciare di guadagnare nella rivendita”. Questo fatto aumentò il malcontento della popolazione anche perchè “la signora Giulia Bordini, più volte milionaria avrebbe potuto essere ricordata per molte generazioni come benefattrice de’suoi vecchi coloni, non si avrà nessun ricordo di gratitudine.” (“Il Resegone”,23 agosto 1919).
La povertà fu causa di un aumento di furti e di atti di vandalismo come il taglio vandalico di 150 piante di viti nel podere del sindaco sig. Carlo Mira d’Ercole che produsse “viva impressione in paese” (“Il Resegone”, 20 settembre 1919) e il furto dalla ghiacciaia del salumiere Piero Cesareo di merce per il valore di circa 400 lire (“Il Resegone”,23 agosto 1919), e quello dalla bottega del tabaccaio di Cheglio per il valore di circa £.500 e lo svuotamento del pollaio del sig.Carlo Mira d’Ercole nella notte di Natale (“Il Resegone”,3 gennaio 1920).
Malcontento e disagio erano stati d’animo diffusi tra la gente. Questo stato di cose favorì il diffondersi di idee rivoluzionarie. Propagandisti politici, come l’avvocato Beltramini e l’on.Ghezzi, venivano spesso in paese e scaldavano gli animi con accese conferenze appoggiati dai socialisti locali, molto attivi e combattivi. “Dopo le elezioni politiche la sezione socialista tainese lavora intensamente per diffondere il bolscevismo” dice Il Resegone del 28 febbraio 1920. Il 28 dicembre 1920 venne inaugurata la bandiera rossa della sezione di Taino con la partecipazione di numerose delegazioni dei paesi vicini (“Il Resegone”, 3 gennaio 1920). Nel 1921, il partito socialista si divise e 42 iscritti aderìrono al Partito Comunista, e quale delegato al congresso di Livorno fu inviato il segretario Enrico Mira d’Ercole, detto Puliz, che morì ancora giovane nel 1926, minato nella salute dalle botte e dai maltrattamenti subiti dai fascisti.
L’AVVENTO DEL FASCISMO
Nel marzo 1919 Benito Mussolini fondò a Milano i Fasci di Combattimento. Questo movimento, inizialmente cittadino, dopo gli scioperi e le occupazioni delle fabbriche del 1920 si diffuse rapidamente anche nelle campagne.
Intorno a Mussolini ci furono all’inizio soprattutto ex-combattenti, uomini d’azione che con fatica si riadattavano alla vita civile, mossi da difficoltà e da rancori verso una realtà definita come “la vittoria tradita”. Fenomeno tipico del dopoguerra. I fasciti si opponevano ai comunisti e ai socialisti con i quali le cosidette “squadre d’azione” si scontrarono apertamente e in forma violenta. Gruppi di “camice nere” partecipavano a spedizioni punitive contro gli avversari politici.
Anche a Taino accaddero alcuni episodi di violenza. Il primo avvenne nel giorno dei Santi del 1922 quando quasi tutta la popolazione si trovava riunita al Cimitero accanto ai propri morti. Terminata la funzione religiosa, la gente all’uscita dal campo santo, si trovò davanti un gruppo di fascisti, formato da una quarantina di baldanzosi giovani in camicia nera provenienti da paesi vicini, che gridavano a squarciagola e con fare minaccioso: “a chi le ragazze di Taino? a noi!”
La gente impaurita si ritirò veloce nelle proprie case, mentre un drappello di costoro andò alla ricerca dei comunisti locali. Riuscirono a trovare solo il segretario comunale Annibale Galleani, originario di S.Colombano al Lambro, che era anche il segretario della sezione comunista e gli fecero bere un’intera bottiglietta di olio di ricino, poi, per dispregio, lo portarono in corteo per il tutto il paese, picchiandolo e beffeggiandolo.
Sezioni del Fascio erano già state create nei paesi vicini fin dall’anno precedente, ad Angera (31 marzo 1921) e a Sesto (24 aprile 1921) ed erano le squadre di questi paesi che venivano a Taino a far bere l’olio di ricino a coloro che venivano indicati come comunisti. La gente in genere non si intrometteva, tranne qualche rara eccezione.
Ettore Pajetta, un giovane comunista, racconta in un suo memoriale che la notte del 23 febbraio 1923, incappato nelle mani di un gruppo di fascisti fu costretto a bere l’olio di ricino, quando fece cadere la bottiglietta, quei teppisti lo presero a calci e pugni. Una vecchia fruttivendola, sentite le sue grida, uscì di casa e non ebbe timore di apostrofare gli assalitori gridando loro: “vergognatevi in tanti e così vecchi picchiare un ragazzo”.
In poco tempo il fascismo prese piede. La maggioranza degli italiani sentiva l’esigenza di ordine, temeva il dilagare dell’ondata sovversiva e l’evidente incapacità del Parlamento a far uscire il paese dal caos.
Ideologie estremiste e totalitarie, come il fascismo e il comunismo, affascinavano soprattutto i giovani con la loro sfida al pericolo e con il culto della violenza rivoluzionaria.
A differenza del comunismo, il fascismo ebbe maggior successo perchè si rivolgeva a tutti i ceti sociali, non solo al proletariato.
Dopo la marcia su Roma (28 ottobre 1922) anche a Taino fu istituita una sezione del Fascio.
Il Sindaco, Carlo Mira d’Ercole, detto Capeta, e i consiglieri comunali a maggioranza comunista diedero le dimissioni il 12 marzo 1923. L’amministrazione del paese fu assunta provvisoriamente da Francesco Berrini, direttore dello stabilimento Bernocchi, in qualità di commissario prefettizio.
Non fu per lui un compito facile date le condizioni in cui si trovava il paese. Tra i suoi primi provvedimenti vi fu quello di stabilire un prezzo massimo per il pane (£.1,62 al chilo) e fornire assistenza sanitaria gratuita e medicinale agli invalidi e mutilati di guerra.
Nelle elezioni politiche del 1924, svoltesi in un clima di violenza, il partito fascista ottenne la maggioranza dei voti (64,9%). Il Parlamento affidò a Mussolini il governo del paese con pieni poteri.
Anche a Taino molti erano favorevoli a Mussolini, visto come l’uomo forte che poteva riportare l’ordine e la disciplina e liberare dalla paura del marxismo, largamente diffusa nei ceti medi e resa più concreta dopo il 1917 dagli orrori dello Stato sovietico. In particolare furono le persone più in vista del paese, per stato sociale e condizione economica, che appoggiarono il fascismo. La loro adesione fu di esempio ed ebbe una certa influenza sul resto della popolazione.
Nel 1925, superata la crisi del delitto Matteotti, Mussolini diede inizio ad un regime dittatoriale vero e proprio. Tutti i partiti politici, ad eccezione di quello fascista, furono messi fuori legge e nuove norme introdussero un diverso sistema amministrativo. A capo dell’amministrazione locale non fu più un sindaco eletto, ma un podestà nominato dal Prefetto e scelto fra le persone più eminenti del luogo favorevoli al fascismo.
Il primo podestà di Taino dal 1926 al 1936 fu il marchese Alfonso Corti, proprietario terriero, con un breve intermezzo nel 1935 di incarico, in qualità di commissario prefettizio, a Francesco Berrini, capostazione di Taino. Vice podestà dal 1926 al 1928 fu l’ing.Mosè Berrini, prestigiosa figura della amministrazione pubblica, già vicedirettore delle Ferrovie dello Stato e sindaco di Taino nel 1902 e nel 1910, e poi, fino al 1936, Enrico Lordi, benestante. Podestà dal 1936 alla fine della guerra fu l’industriale Emilio Rigamonti. Mussolini restaurò in sostanza l’autorità delle classi sociali più elevate, affidando il potere a quelle persone che l’avevano tradizionalmente esercitato, le quali, in cambio, appoggiarono e sostennero il regime fascista.
ECONOMIA E SOCIETA’ NEGLI ANNI ’20 e ’30
Nonostante la presenza dello stabilimento di esplosivi Bickford e della tessitura Bernocchi, Taino negli anni fra le due guerre fu un centro fondamentalmente agricolo.
Nel Censimento generale dell’agricoltura del 1930 è indicata la presenza di 314 aziende agricole con una manodopera complessiva di 593 uomini e 608 donne impegnati su una popolazione di 1538 abitanti.
Gli animali allevati erano in grande maggioranza pollame, ma anche bovini, conigli, colombi, api e bachi da seta.
Negli anni del fascismo si verificò un notevole incremento della produzione agricola a Taino, determinata anche dagli incentivi del Governo. Una produzione importante fu quella dei bachi da seta. Nel 1929 furono ottenuti Kg.7764 di bozzoli freschi. Nel 1932, i maggiori produttori proprietari risultarono Angelo Bielli fu Luigi con Kg. 124, Giacomo Butti con Kg.115, Giuseppe Gardinetti con Kg.100 e Stefano Mobiglia con 104; tra gli affittuari, Cornelio Giraldo, conducente l’azienda agricola Ronchi, che produsse Kg.384 di bozzoli freschi e Francesco Fantin, del Roncaccio, con Kg.104.
Anche la produzione del latte era importante nell’economia del paese e gli allevatori nel 1931 diedero vita ad una latteria sociale denominata “Latteria Cooperativa di Taino e Uniti”. Il latte eccedente il consumo familiare, veniva trasformato in prodotti lavorati per uso dei soci stessi o per la vendita al pubblico. La Latteria Sociale era ubicata in quella che oggi è casa Margheri. I soci fondatori furono Giusto Bonenti, Giuseppe Mira, Angelo Bielli, Giuseppe Ghiringhelli, Battista Biavaschi, Carlo Cappelletti, Giovanni Mira d’Ercole, Giovanni Bielli, Carlo Pedrizzetti, Carlo Mira d’Ercole.
Le condizioni economiche dei tainesi migliorarono gradulmante, rispetto al periodo anteguerra. L’emigrazione all’estero cessò, anzi diverse famiglie di emigrati fecero ritorno al paese natale. La combinazione contadino-operaio che fu tipica dell’epoca permise alle famiglie di avere una certa disponibilità di denaro che in genere veniva utilizzato per costruire la casa o acquistare terreni. Per investimenti e consigli, non solo di tipo economico, era usanza rivolgersi ad una persona di fiducia, della cui onestà, competenza e correttezza nessuno dubitava. La persona in questione fu per molti anni Carlo Colombo, detto Leta e, dopo la sua morte, la figlia Angela.
Se qualcuno aveva difficoltà in pratiche burocratiche, o in altre questioni, anche di tipo familiare, o di eredità, si rivolgeva al Leta che aiutava ad individuare la soluzione giusta per ciascuno.
Una figura, quella del Leta, oggi scomparsa, il cui operato fu utile al paese e rende l’idea dei valori e dei rapporti di fiducia che esistevano tra la gente.
Un altro personaggio significativo dell’epoca fu Enrico Lordi.
Il Lordi, originario di Barza, sposò la tainese Luigia Giovanella e con lei e tutti i suoi fratelli e cognati visse in America per diversi anni, dove, lavorando nel settore alimentare, riuscì a guadagnarsi una discreta fortuna. Nel 1924, Enrico Lordì e la moglie tornarono a Taino, con un patrimonio di circa un milione di lire, una cifra ragguardevole per i tempi, acquistò una casa a Cheglio e si occupò attivamente del paese.
Con il suo calesse e con l’automobile, una delle prime apparse a Taino, trasportava ammalati, persone bisognose di cure, ovunque. Finanziò la costruzione della Casa del Balilla con 20.000 lire, e del Circolo con 50.000. Fu presidente dell’Asilo Infantile che aiutò con generosità, e, prestò denaro, spesso a fondo perso, a molte persone in difficoltà. Durante il suo incarico di vice-podestà intervenne in prima persona presso le autorità di polizia per far liberare una quindicina di tainesi arrestati, nel 1932, con la falsa accusa di aver diffuso volantini antifascisti. Della sua generosità e disponibilità ad aiutare il prossimo ne beneficiarono numerose famiglie tainesi.
I TAINESI E IL REGIME FASCISTA
Il periodo compreso tra il 1929 e il 1936 furono gli anni di maggior consenso al fascismo, con manifestazioni di entusiasmo per il Duce e la sua politica.
La sezione di Taino dell’Associazione Nazionale Combattenti offrì la cittadinanza onoraria a Mussolini con queste parole:
“ricordando nella persona di S.E. Benito Mussolini il restauratore della nostra bella Italia è unanime nel concedere la cittadinanza onoraria di Taino”.
Mussolini seppe suscitare un’enorme ammirazione intorno alla sua persona, un vero culto della personalità.
Quando Mussolini venne in visita alla SIAI Marchetti nel 1936, tutta Taino si recò a Sesto C. per vedere il Duce e questo incontro suscitò in molte persone una grande emozione.
La giovinetta Lina Bielli ha scritto sul suo diario: “quando lo vidi avanzare sorridente con passo marziale, tra le nostre due file di ragazzi e ragazze in divisa schierati sulla strada della Groppina, non riuscii più ad articolare parola per alcuni minuti (con mio grandissimo spavento): certo fu una momentanea afasia causata da un fatto emotivo”. Per l’emozione anche Carla Tonella, dipendente della SGEM, alla vista del Duce, lasciò cadere il cartello dei lavoratori della Polveriera che reggeva, e, che per poco, non cadde sulla testa stessa di Mussolini.
I giovani a scuola venivano educati nel culto e nei miti del fascismo. Tra le materie di studio erano incluse lezioni di “cultura fascista” e tutte le imprese del regime erano seguite con esaltazione dai giovani inquadrati nella G.I.L.
Giuseppina Mobiglia ha conservato il suo quaderno delle elementari sul quale la maestra aveva fatto scrivere diligentemente i discorsi del Duce e l’impresa italiana in Africa Orientale. Una letterina degli scolari datata 30 ottobre 1935 indirizzata a Pietro Mira, combattente tainese in Abissinia, inizia con le parole: “siam Balilla e Piccole Italiane del suo Taino che le scrivono perchè seguono con ansia le vicende della nostra grande impresa coloniale in Africa……A voi la nostra fervida riconoscenza, a voi che combattete per la Patria diletta sotto l’ala protettrice del Tricolore e del Fascio Littorio. Tutti i fanciulli d’Italia sono con voi col ricordo perenne, con le preghiere, con il loro entusiasmo, con la loro fede”. E il fascismo fu davvero per molti una fede. Chi crebbe in quegli anni non sapeva cosa fosse la democrazia, che il regime pubblicizzava come una forma di decadenza delle società capitaliste.
Coloro che dissentivano apertamente erano pochi. Segnalati ufficialmente come potenziali sovversivi nel Casellario Politico Centrale furono in tutto 23 tainesi, più per le loro idee comuniste e socialiste che per reali azioni di opposizione al regime, o anche solo per i legami di parentela e di amicizia con la famiglia di Carlo ed Elvira Pajetta, attivi antifascisti.
Tra gli schedati anche Giuseppe Berrini di Carlo (Sentinela) che era stato compagno di Mussolini in Svizzera e con lui condiviso gli ideali socialisti, ai quali Giuseppe rimase sempre fedele e, proprio per questo, era sovente controllato dalla polizia.
Scrisse una lettera a Mussolini chiedendogli i motivi delle continue persecuzioni anche dopo l’interruzione di qualsiasi sua attività politica. Mussolini gli rispose: “perchè non sei salito sul mio carro?”, da allora però fu lasciato in pace.
C’era anche chi nel suo intimo non condivideva il regime, ma non esprimeva le sue opinioni, non poteva farlo liberamente, rischiava di perdere il posto di lavoro.
Gina Mira d’Ercole che non provava nessuna attrazione per il fascismo non si iscrisse mai al Fascio, la cui tessera era necessaria per avere il libretto di lavoro, nè partecipò alle adunate o alle esercitazioni ginniche obbligatorie (paramilitari per gli uomini) del “sabato fascista”. Per tre volte fu chiamata dal segretario del Fascio locale, Giordano Tortini, e sollecitata ad iscriversi. Con una scusa e l’altra riuscì sempre ad evitarlo. Ebbe ugualmente il libretto di lavoro.
L’adesione al fascismo iniziò ad affievolirsi nel 1938, con la proclamazioni delle leggi razziali. L’odio razziale non era una componente della cultura e tradizione Tainese, vi erano anzi due famiglie ebree che trascorrevano dei periodi di tempo a Taino, ed erano ben conosciute e rispettate in paese: gli Ascoli e i Crema, questi ultimi imparentati con una famiglia di Cheglio. Arrigo Crema di Ispra aveva sposato la Tainese Maria Bielli, detta Minela, e, quando le persecuzioni razziali divennero più pressanti, dopo l’8 settembre 1943, Arrigo con i genitori, i fratelli e le rispettive famiglie, fuggì in Svizzera. La moglie Maria rimase ad Ispra, ma, temendo per i figli, li sistemò a Taino: la più piccola Maria Grazia, di tre anni, presso la nonna materna, Angela Berrini, allo Stallaccio, i più grandicelli, Ada, Franco e Rino, accuditi dalla loro tata, Piera Codega, furono nascosti nel granaio di Virgilio Bielli (Firel) di Cheglio, cognato di Maria Crema. Tutti in paese, compreso il podestà e il segretario del fascio, erano a conoscenza della presenza di questi bambini, ma nessuno denunciò mai nulla, anzi l’intera popolazione li protesse con il più assoluto silenzio e volutamente ignorando che il loro cognome non era Bielli, bensì Crema.
Furono però gli anni più duri della guerra, dal 1943 al 1945 che allontananarono la popolazione dal fascismo e dal suo capo.
Nell’agosto del 1943 in Polveriera venne proclamato uno sciopero per l’arresto del giovane Gaspare Pajetta. Per questa azione 30 lavoratori furono arrestati, 15 uomini e 15 donne, tra cui Natalino Elli, Guido Borra, Adolfo Pajetta, Giovanni Mira d’Ercole, Carlo Mira d’Ercole, Angelo Albini, Carla Cogliati e Mariuccia Alvod e condotti nelle carceri di Gallarate, incatenati a due a due, come malviventi. I compagni di lavoro inscenarono una manifestazione di protesta e al primo settembre furono tutti rilasciati.
Con il crollo del fascismo, i soldati e i giovani in età di leva furono posti davanti ad una scelta: aderire alla Repubblica Sociale di Salò e combattere coi tedeschi o unirsi ai partigiani. Una ventina di Tainesi prese la strada delle montagne e si uni alle forze della Resistenza. “Fu per me una scelta obbligata”, dice Guido Borra, attuale Presidente dall’ANPI, non avrei mai potuto combattere con i tedeschi, così, prima di venir richiamato, una mattina del 1944, anzicchè recarmi al lavoro a Luino, seguii le indicazioni datemi da Gaspare Pajetta. Mi fermai a Laveno, presi il battello per Intra e poi in tram giunsi ad Omegna. Il contatto coi partigiani avvenne al Ristorante Costa Azzurra, e da lì salii in Valle Strona e mi unii al gruppo Beltrami”.
Una decina di Tainesi aderirono invece alla Rsi, alcuni per convinzione, per coerenza con le scelte fatte in passato, per rispettare la parola data all’alleato germanico, altri per opportunismo e convenienza personale.
Durante il periodo dell’occupazione tedesca la maggioranza della popolazione non prese posizioni, anche per timore di possibili reazioni da parte dei militari germanici presenti in paese. La gente continuò a svolgere le proprie attività quotidiane, cercando di sopravvivere tra le molte difficoltà, sperando che la guerra finisse presto.
Non si pensi però che nelle temperie della guerra i Tainesi non fossero più capaci di vivere i valori profondi della loro cultura, come rispetto della persona umana, attenzione per gli altri.
Con grande rischio personale alcune famiglie hanno aiutato soldati e prigionieri. La famiglia di Ludovico Baira nascose tre prigionieri inglesi, Camillo Villa un partigiano jugoslavo ammalato, presso la famiglia Vavassori, ai Ronchi, trovò rifugio un militare sbandato dopo l’8 settembre, altri ospitarono famiglie milanesi sfollate.
Un ruolo fondamentale nella difesa dei valori e di guida per le coscienze lo ebbe la Chiesa nella persona del parroco, Don Martino Vignati. Don Martino era un uomo mite e non si espresse mai pubblicamente contro il regime, però abborriva la violenza e con le persone a lui più vicine e di cui si fidava condannava gli atteggiamenti aggressivi e arroganti di alcuni caporioni locali: “Trop preputent, se dev mia fà inscì” erano le sue parole e in cuor suo non scordò mai l’oltraggio che fu per lui l’imposizione fascista del maggio 1931 di chiudere la sede dell’Azione cattolica a cui teneva tanto, anche se, dopo gli accordi tra Mussolini e la Santa Sede, fu riaperta. Don Martino con la marchesa Laura Corti intervenne nel 1945 presso il comando tedesco per la liberazione di 10 Tainesi presi in ostaggio e che sarebbero stati fucilati se non fosse stato rilasciato un maresciallo tedesco catturato dai partigiani che chiedevano lo scambio con un loro compagno. Il rilascio del partigiano prigioniero e la liberazione dell’ufficiale tedesco evitarono tragiche conseguenze.
Più drammatico e sconvolgente fu quello che accadde ad Alfonso Boca, che nel 1944 era un ragazzo di soli 17 anni. Partigiano, fu catturato ferito dai tedeschi dopo la battaglia di Massino ed insieme ad altri 10 uomini e 3 donne condotto al Collegio De Filippi di Arona dove fu tenuto prigioniero dal mese di maggio ad ottobre 1944. Il 31 ottobre venne scelto insieme ad altri 5 uomini, portato a Cecchignola con un autocarro e da lì con un barcone a S.Anna presso la sede della X Mas. All’alba della mattina seguente il parroco di Sesto C., Don Luigi Madonini, si recò dai prigionieri e li informò, cercando di far loro coraggio, che alle ore 9 sarebbero stati fucilati. Alfonso, insieme agli altri, fu caricato su un motoscafo e condotto a Castelletto Ticino, vicino al ponte delle barche. Sul piazzale, i prigionieri e 20 ostaggi furono fatti sedere su delle sedie con le braccia legate agli schienali. Intorno a loro un gran folla, obbligata ad assistere al massacro. I soldati con i mitra puntati, erano pronti a sparare. Nell’attimo stesso in cui partirono le raffiche la sedia di Alfonso venne fatta cadere. Fu risparmiato, lui solo, perche era il più giovane. L’angoscia e l’emozione di quei momenti lo accompagnano da tutta la vita.
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La guerra e la lotta fratricida coinvolsero anche Taino nella spirale della vendetta. Serafino Ghiringhelli, detto Fritava fu ucciso, dopo essere stato picchiato e torturato da ignoti, nel maggio 1945, Chierichetti nel novembre 1945.
Entrambi erano noti militanti fascisti e il Fritava, iscritto alla milizia, si era procurato molti nemici con il suo atteggiamento arrogante e da “ducetto”, ma nessuno di loro si era macchiato di delitti. Non si seppero mai le circostanze di queste morti nè chi fossero i diretti responsabili, non possiamo però negare che sono avvenute ed è tempo di fare un corretto esame critico e di guardare con onestà, senza miti e retorica, a questo periodo della nostra storia, fatto di luci ed ombre.
FONTI SCRITTE
– Atti e documenti dell’Archivio Comunale di Taino –
cart. 10-27
– Periodico di Lecco “Il Resegone”, 1919-1920
– Memoriale di Ettore Pajetta
– Diario di Lina Bielli
– Quaderno di scuola di Giuseppina Mobiglia
FONTI ORALI
Testimonianze di: Bruna Mira d’Ercole, Gina Mira d’Ercole, Renzo Giovanella, Carla Tonella, Pina Beltramini, Loredano Ghiringhelli, Carla Ghiringhelli Elli, Vladimiro Mira d’Ercole, Ada Crema, Giandomenico Berrini, Guido Borra, Alfonso Boca.
BIBLIOGRAFIA
– Cedoc – Fonti e Contributi per la storia delle Comunità di Cheglio e Taino – 1993
– Laura Tirelli – Taino 1895-1995, dall’Asilo Infantile alla Scuola materna Maria Serbelloni: uno sguardo su cento anni di storia tainese – 1995
– Daniela Franchetti – Ritratto di gruppo con Signora – Elvira Berrini Pajetta – in “Taino ritrovare le radici cogliere l’incanto” – 1996
Un sentito ringraziamento alla dott.ssa Daniela Franchetti dell’Istituto Storico Varesino per la documentazione fornita relativamente ai dati del Casellario Politico Centrale di Roma e l’autorizzazione all’utilizzo del memoriale di Ettore Pajetta e a tutti coloro che hanno, con grande disponibilità e cortesia, fornito notizie, testimonianze e materiale fotografico.