di Laura Tirelli
Il territorio di Taino comprende una ampia zona boschiva, per cui è naturale che tra i tainesi e i boschi vi sia sempre stato uno stretto legame, sopratutto in passato quando la popolazione era prevalentemente dedita alle attività agricole. Dai boschi i contadini ricavavano legna e strame per gli animali, coi rami dei castani costruivano i pali per le viti e gli steccati, erbe commestibili e frutti spontanei venivano raccolti. I boschi fornivano anche la selvaggina e i cacciatori catturavano lepri, conigli, pernici, beccacce, tassi ecc.
Un ruolo non indifferente ha quindi avuto la caccia nella storia di Taino e della sua gente.
Attività venatorie si sono praticate nel nostro territorio fin dai tempi più antichi. Abbiamo testimonianze che risalgono addiritura alla civiltà golasecchiana (XII-IV secolo a.C.). Nella tomba del guerriero, rinvenuta nei pressi di Sesto C. nel 1867 era contenuta una” situla” o secchia in bronzo, oggi al Museo Archeologico di Varese, su cui è raffigurato un soggetto di caccia. Vi sono una serie di uccelli, forse oche, un uomo armato di daga che afferra per le corna un grande cervo, un altro che alza l’accetta per colpirlo, un terzo a cavallo e un compagno che spingono un cervo verso i primi due.
I nostri boschi furono sicuramente popolati dai cervi e ancora se ne incontravano nel secolo scorso sulla sponda destra del Ticino, come testimonia una lettera del 1823 con la quale sua maestà sarda concedeva al duca Carlo Visconti di Modrone di cacciare in questi luoghi.(1)
La caccia è nata con l’uomo come necessità per procurarsi il cibo, ma molto presto si è trasformata in una attività sportiva. Nel medioevo, quando la caccia formava lo svago prediletto della nobiltà, tutta l’area compresa da Gallarate al lago Maggiore era utilizzata dai signori di Milano per questo scopo, ed erano così gelosi di questa loro prerogativa da impedire perfino il diritto di caccia con le reti che era consuetudine degli abitanti del luogo.(2)
Anche i Serbelloni impedirono nei loro possedimenti di Taino e territori limitrofi la caccia, non già come possessori della selvaggina che transitava nei loro poderi, ma vietando, come proprietari, ad altri di passare od entrare nei loro fondi.(3)
La caccia fu praticamente un diritto feudale fino alla fine del secolo XVIII. Il codice francese, introdotto in Italia da Napoleone, riconobbe al potere sovrano la facoltà di permettere, vietare o modificare il diritto di caccia. Con decreto del 30 giugno 1806 a firma di Eugenio Napoleone, vicerè d’Italia, i boschi e le valli del Ticino, sia alla destra che alla sinistra del fiume, furono dichiarati luoghi di caccia riservati alla Corona.
Da allora vari provvedimenti furono emanati con l’intento di conciliare l’attività venatoria con gli interessi dell’agricoltura, le esigenze dell’ordine pubblico e, ora, con la salvaguardia dell’ambiente e della fauna.
A metà ‘800 fu, per la prima volta, introdotto l’obbligo per il cacciatore di essere munito di regolare permesso rilasciato dall’intendente della provincia di Como, sotto la cui giurisdizione era Taino, e di pagare una tassa annuale. La caccia fu poi proibita nella nostra zona dal 15 marzo al 15 agosto di ogni anno e al cacciatore di introdursi nei terreni seminati o chiusi con muri o siepi (legge 29 dicembre 1836).
Tainesi che hanno praticato la caccia come sport ce ne sono stati
fin dal secolo scorso, erano però in numero limitato, al massimo 7/8 persone, tra le quali è ricordato l’ing.Carlo Berrini e il marchese Gaspare Corti che, a detta del nipote Obizzo, acquistò nel 1906 il palazzo Serbelloni proprio perchè i boschi di Taino gli offrivano l’opportunità di soddisfare la sua passione per la caccia essendo luoghi adatti a sguinzagliare le mute dei cani sulle tracce delle lepri. Numerose furono infatti le battute di caccia, spesso a cavallo, organizzate dal marchese nel territorio di Taino a cui parteciparono anche membri della famiglia reale.
Il marchese Corti faceva parte della “Società Milanese per la Caccia a cavallo”, fondata nel 1882. I tainesi più anziani ancora ricordano gli eleganti cavallieri con la giacca rossa e il cilindro, le amazzoni, in blu o in nero, con bombetta che si radunavano numerosi nel cortile del palazzo. Questa Società esiste ancora, ha una sede a Sesto Calende e organizza circa 20 o 30 battute di caccia per stagione, ma oggi la volpe è sostituita dal suo “odore” portato in giro la mattina della caccia fra i campi e i boschi per eccitare i cani.
Il numero dei cacciatori tainesi crebbe sopratutto dopo la seconda guerra mondiale e gli appassionati crearono, nel 1947, una riserva consorziale. Tra i soci fondatori vi fu Virgilio Bielli(Firel), Ambrogio Ghiringhelli(Brusin), Giuseppe Ghiringhelli, Carlo Mobiglia(Giovin), Giuseppe Berrini, Nino Berrini(per molti anni messo comunale), i fratelli Tonella, Carletto Caielli e Fiorino Ponti che fu il primo presidente. La riserva fu attiva fino al 1975, iscritti erano una ottantina di cacciatori.
I soci potevano cacciare in tutto il territorio di Taino, parte in quello di Angera ed Ispra non più di cinque volte per stagione venatoria. La riserva consentì un controllo del territorio, la presenza dei guardiacaccia limitò l’azione dei bracconieri e le uccisioni indiscriminate della selvaggina perchè ogni cacciatore poteva abbattere solo il numero stabilito di capi.
Nei pressi del campo sportivo, nello chalet del marchese (situato dove ora è casa Baggi) fu alloggiato un guardiacaccia e nei terreni attorno furono sistemate reti e gabbie per allevare o acclimatare lepri, fagiani e starne che servivano al ripopolamento. I fagiani non esistevano nei boschi di Taino, furono i cacciatori ad introdurli ed il primo fu catturato nei pressi della Polveriera circa 50 anni fa.
I cacciatori tainesi hanno sempre cercato di difendere il proprio territorio da intromissioni esterne per impedire l’abbattimento indiscriminato della selvaggina dei nostri boschi.
Una volta cessata la riserva venne istituita una zona rifugio- protezione, “autogestita” direttamente dai cacciatori, promossa nel 1985 da Gianluigi Bielli(Firel) e Mino Sartorio.
Oltre Taino, il territorio autogestito comprese i paesi di Angera, Ranco, Ispra, Cadrezzate, Comabbio, Osmate. I cacciatori iscritti pagavano delle quote annuali che venivano utilizzate per l’acquisto di fagiani e lepri,provenienti dalla Jugoslavia e dal Belgio in massima parte, per ripopolare la nostra zona. Ogni cacciatore era vincolato ad una quota fissa di abbattimento e furono istituiti controlli e multe fino all’espulsione per i trasgressori. L'”autogestita” si sciolse nel 1993 a seguito dell’entrata in vigore della legge 157 che ha formalizzato le esperienze di autogestione del territorio.
La legge regionale 26 ha istituito ora gli “ambiti territoriali di caccia” che legano il cacciatore alla propria zona di residenza, coinvolgendolo e responsabilizzandolo nella conservazione della fauna e dell’ambiente. Il territorio della nostra provincia è stato suddiviso in sette zone e ai cacciatori residenti in ciascuna zona è affidato il compito di gestire l’attività venatoria attraverso un comitato formato da tre rappresentanti dei cacciatori, tre dei coltivatori, tre delle associazioni protezionistiche, uno dell’amministrazione provinciale e uno del paese più grande della zona. Direttore del comitato sud Verbano è Gianluigi Bielli(Firel). Questo comitato ha il compito di stabilire ogni anno quanti capi di selvaggina ogni cacciatore residente può abbattere, provvedere al ripopolamento, accordarsi coi conduttori dei fondi. La legge consente la presenza di un cacciatore ogni otto ettari di terreno.
Il bisogno di associarsi e darsi delle regole è oggi molto forte nei cacciatori, anche se ogni appassionato va spesso a caccia da solo, tutti provano il piacere di ritrovarsi, raccontare le proprie imprese, le azioni del proprio cane e confrontarne i risultati. Diverse sono le associazioni di cacciatori, a Taino vi è la Federcaccia alla quale sono iscritti 34 cacciatori tra i quali una donna, la signora Ornella Perin. Presidente è Claudio Magagna. I cacciatori tainesi attivi sono attualmente circa una cinquantina.
La caccia, come molte altre attività dell’uomo, si è trasformata ed evoluta col tempo. In passato, quando la selvaggina era più abbondante perchè minore l’inquinamento e la cementificazione, il valore del cacciatore veniva giudicato in base al numero dei capi abbattuti, oggi, quello che conta è sopratutto la precisione di tiro e l’abilità del cane.
Il cane è il grande compagno del cacciatore. Con il suo patrimonio di qualità ereditarie e addestrato da mani esperte, un cane da caccia è in grado di collaborare in modo impareggiabile con il suo padrone. E’ nella tradizione dei cacciatori tainesi l’amore e la cura per il proprio cane, compagno inseparabile, da cui il cacciatore si aspetta obbedienza assoluta. Il compito del cane è fiutare la selvaggina, davanti alla quale, una volta individuata, si ferma immobile puntandola, e immobile deve rimanare al momento del frullo e dello sparo. Il cane deve poi riportare senza sciuparlo il selvatico abbattuto. Se il cacciatore manca la preda, il bravo cane da caccia reagisce con fastidio.
Seguire il proprio cane nei boschi, camminare attraverso i campi ancora umidi per le nebbie mattutine con il fucile sotto il braccio è per ogni cacciatore un’avventura entusiasmante.
I primitivi ritenevano che le forze della natura, selvaggia e temibile, si trovassero trasfuse nei migliori cacciatori. Anche il cacciatore moderno avverte che qualcosa di magico lo lega al selvatico e al bosco.
Alla natura della caccia appartengono però anche la gara, la sfida che creano nel cacciatore una tensione continua che si risolve nel momento liberatorio del frullo e dello sparo.
La soddisfazione è tanto più grande quanto più difficile è stata la caccia e quanti più sacrifici essa ha richiesto.
Da qualche anno però altri compiti si sono presentati ai cacciatori. I gioiosi momenti insiti nella cattura della preda passano in secondo piano rispetto alla responsabilità che tutti sono tenuti oggi ad assumersi di fronte alle altre creature e alla consapevolezzza che tutte le parti stanno in mutuo rapporto nell’economia generale della natura. Il più importante dovere del cacciatore è oggi quello di assolvere la funzione di elemento conservatore dell’equilibrio ecologico, come ad esempio provvedere all’abbattimento delle volpi che in questi ultimi anni sono aumentate in dismisura o di altri selvatici in eccesso la cui presenza reca danni all’ecosistema naturale.
Le tradizioni venatorie, tanto care a molti tainesi, hanno diritto di sopravvivere solo se si adeguano alle mutate condizioni di vita e dell’ambiente.
Note
1.dall’archivio Visconti di Modrone
2.Francesco Sforza, signore di Milano, il 3 agosto 1457 scriveva al capitano di Gallarate:
“Havemo con dispiacere inteso, che hay quelli in pieve di Gallarà che va ad uxellare con sonayere et altre rete et se fa una beccharia de uxelli, et se guastano tutte quelle caccie; pertanto volemo che tu faccia far la grida che non sia persona che ardisca andare ad uxellare con nessuna sorte et generatione de rete et lazi sotto la pena che se contene nelli nostri ordini quali te manderà Carlo da Cremona, nostro capitaneo generale sopra le caccie, col quale circha a questa faccenda te hay ad intendere.”
3.Decreto del Principe de Ligne, governatore di Milano, del 3 agosto 1676 con il quale sono minacciate gravi sanzioni, anche corporali, a chi ardisca attraversare “neanco sotto titolo d’andar a caccia” i fondi di proprietà della contessa donna Luisa Marina Serbellona.
Si ringraziano per la collaborazione:
Famiglia Berrini Tresca, Ponti Augusto, Ponti Fiorino, Mobiglia Enrico, Tonella Sandro e Liliana, Bellani, Bielli Gianluigi(Firel), Ghiringhelli Cesarina, Rosella Villa, Famiglia Violin e Claudio Magagna.