di Laura Tirelli
Il 26 gennaio 1918 moriva a Bordighera, all’età di 56 anni, il conte Giuseppe Crivelli-Serbelloni, ultimo discendente della nobile famiglia milanese, antichi feudatari di Taino.
A 90 anni dalla morte vogliamo ricordare questo personaggio che ebbe un ruolo di primo piano nella storia del paese, pubblicando il documento ufficiale di nomina a Sindaco di Taino conferitagli dal Re d’Italia Umberto I nel 1889.
Il conte Giuseppe occupò questa carica per diversi anni e del paese si interessò intensamente. Durante il suo mandato fu costruito l’edificio della Scuola Elementare (attualmente sede del Comune), su un terreno di sua proprietà da lui appositamente donato. Promosse l’istituzione della Scuola Materna, di cui fu anche primo Presidente, con una generosa donazione in denaro e, insieme alla madre duchessa Maria, si fece carico della costruzione della Chiesa di S.Stefano.
Era nato a Madrid nel 1862 dove il padre, conte Alberto Crivelli, svolgeva funzioni diplomatiche presso quella corte e come madrina di battesimo ebbe niente che meno la Regina Isabella di Spagna. Della sua vita privata non abbiamo grandi notizie, sappiamo che sposò nel 1885 la marchesa Antonietta Trotti Bentivoglio e non ebbe figli. Con la sua morte si estinse infatti il casato Serbelloni, cognome che potè, per decreto regio del 1878, unire a quello di Crivelli, non avendo i Serbelloni una discendenza diretta maschile. Come molti rampolli di famiglie nobili fu ufficiale dell’esercito e raggiunse il grado di Tenente-Colonnello di Artiglieria. Trascorse la sua vita tra la casa di via Montenapoleone a Milano, la villa di Luino, ereditata dal padre e il palazzo avito di Taino.
Il conte Giuseppe Crivelli-Serbelloni partecipò assiduamente alla vita politica dei suoi tempi, oltre che Sindaco di Taino, rappresentò per circa 25 anni il Mandamento di Angera nell’Amministrazione Provinciale di Como, occupandosi particolarmente di strade, trasporti e navigazione sul lago.
I suoi principi e i suoi valori si rifacevano a quelli del Risorgimento, e ai miti di quell’epoca eroica. In una sua lettera inviata al deputato e amico Giulio Adamoli, dichiara di provare dispiacere perchè, nato troppo tardi, non potè combattere per l’unità d’Italia: “….Tu non puoi immaginare” scrive “l’invidia che destano quei ricordi patriottici in coloro che alla patria non hanno potuto dare più di qualche umile opera di pennaiuolo, di verbaiuolo, e la vergogna che insieme si prova, come se l’essere nati troppo tardi fosse colpa nostra, fosse segno di antipatriottismo da parte nostra. Beati voi che avete veduto quei tempi, combattuto quelle battaglie!” Agì sempre secondo la propria coscienza e non accettò di candidarsi al Parlamento perchè, come scrisse, “la mia tenace, selvaggia indipendenza d’opinioni avrebbe fatto di me un deputato impossibile“.
Nelle elezioni provinciali del 1910 a Taino ebbe 107 voti favorevoli, ben 44 in più dell’altro candidato locale, l’ing.Carlo Berrini, per il quale. dice il giornale “Il Sempione” del 2 luglio 1910, la votazione non fu proprio lusinghiera nonostante che “l’ing.Berrini è nato a Taino, ha qui una larga parentela, è consigliere del Comune e per di più è uno dei soci subentrati nella proprietà della Duchessa Serbelloni-Crivelli… ma si capisce, il conte ha fatto del bene a Taino; perchè si doveva dare a lui il famoso calcio dell’asino? “. Non tutti però erano d’accordo sul “bene” fatto dal conte a Taino.
All’inizio del secolo ci fu un certo fermento nella popolazione contadina che chiedeva migliorie nei contratti d’affitto e i numerosi emigranti, una volta tornati a casa, diffondevano le idee socialiste di lotta contro i padroni apprese in Francia, in Svizzera. Alcuni incominciarono a mostrare insofferenza per la supremazia economica e sociale dei Serbelloni. Lungo la strada che il conte Crivelli percorreva per ragggiungere il proprio palazzo apparvero cartelli con scritte dal tono minaccioso del tipo: “Prima taglieremo le teste dei moroni, poi quelle dei Serbelloni“.
Il Conte Giuseppe lasciò deluso e amareggiato l’attività politica nel 1914. “Le brutture della passata campagna elettorale m’hanno stroncato” scrisse. Per lui la politica era l’esercizio di valori ideali, un confronto fra “gentiluomini” con interessi simili e la stessa visone del mondo. Si rammaricava, sono parole sue, “che il collegio che fu un modello per indipendenza e fierezza di sentimenti cada nelle mani di una banda di farabutti“.
La classe sociale a cui apparteneva aveva ormai esaurito la sua funzione storica e probabilmente fu per lui difficile comprendere e accettare le trasformazioni politiche che l’allargamento dell’elettorato avevano determinato, e l’aspirazione al riscatto sociale ed economico dei suoi contadini, verso i quali ebbe più un atteggiamento paternalistico che democratico.
La sua vita si concluse con la prima guerra mondiale, evento che segnò anche definitivamente la fine del suo mondo e del secolo in cui era nato.