di Laura Tirelli
Qualche mese fa davanti un cascinale nel Biellese è stato trovato un neonato di pochi giorni abbandonato in una scatola di cartone.
I genitori, rintracciati dai carabinieri, sono risultati essere una giovane coppia, regolarmente sposata, con già due bimbi. Il marito, di origine calabrese, fa l’operaio in una fonderia, la moglie di 27 anni, biellese, si arrangia con lavoretti in nero. La loro giustificazione all’abbandono del figlio è stata: “Non potevamo permetterci un’altra bocca da sfamare”.
Un fatto questo che pare incredibile. Come è possibile, si domandano i più, che alle soglie del 2000, non in un paese del terzo mondo, ma in una delle zone più ricche d’Italia, non distante da Taino, un neonato venga abbandonato in questo modo? Eppure quello dell’infanzia abbandonata è stato un fenomeno assai rilevante che, anche se può oggi apparire assurdo, ha radici profonde nella storia europea e anche in quella di Taino.
Particolarmente numerosi furono i bimbi esposti nel secolo scorso, definito anche “il secolo dei trovatelli”. Quanti esattamente siano stati in tutta Europa i bimbi abbandonati non lo si saprà forse mai; alcuni studiosi hanno calcolato che nei decenni intorno al 1850 siano stati esposti ogni anno circa 100.000 bambini e a volte anche di più. In tutto l’Ottocento essi saranno stati senz’altro alcuni milioni.
Il recente abbandono del neonato del Biellese è un episodio che ci riporta indietro nel passato e si richiama ad uno molto simile avvenuto a Taino nel 1881.
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(doc.1) Lettera del Pretore Besozzi al Sindaco di Taino circa il bambino ritrovato abbandonato alla Catatoria
In documenti dell’archivio comunale risulta che la mattina del 6 aprile 1881 sotto il portico della cascina Giuseppe in località Catatoria fu rinvenuto “un infante avvolto in pochi panni e molto sdrusciti, senza alcuna marca o segno speciale”, come è detto dal Pretore Besozzi di Angera nella sua lettera al Sindaco di Taino (doc.1) che fu incaricato di “fare tutte le indagini per conoscere se sia stata rimarcata in Comune o dintorni presenza di persone sospette in linea di questo fatto, a chi possano appartenere i cenci in cui era avvolto l’infante esposto, non che vi siano sospetti di parto clandestino in alcuna donna di questo Comune o delle vicinanze, o si possa avere utile traccia della vera provenienza di quell’infante”.
La risposta del Sindaco al Pretore ci informa che dalle indagini condotte non furono rilevati “indizi sulla provenienza dell’esposto, nè segnalazione di parto clandestino a carico di alcuna donna dimorante questo comune”. Il bimbo, a cui fu dato il nome di Camillo Catatoria, venne accompagnato per incarico del Comune dalla persona stessa che lo aveva ritrovato sotto il portico della sua abitazione, Boselli Gaspare, all’Ospizio Provinciale degli Esposti di Como.
Gli Ospizi degli Esposti erano istituzioni pubbliche, create già a partire dal Medioevo, per la tutela dei bimbi abbandonati.
Fu in particolare la Pia Casa degli Esposti e delle Partorienti in Santa Caterina alla Ruota di Milano, fondata da Maria Teresa d’Austria nel 1689, con la quale numerose famiglie tainesi dell’Ottocento ebbero stretti rapporti. I bambini abbandonati venivano affidati da questa istituzione a famiglie contadine che ricevevano un compenso in denaro per l’allevamento dei piccoli che, se non riconosciuti e richiesti dai genitori naturali, restavano sotto la tutela della Pia Casa fino all’età di 15 anni (doc.2).
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(doc.2) Circolare datata 1822 inviata al Parroco di Taino dalla Pia Casa di S.Caterina perchè solleciti le famiglie del luogo ad accogliere i trovatelli in età compresa tra i 5 e i 15 anni.
Numerose furono le famiglie tainesi, particolarmente nella seconda metà dell’800, che allevarono presso di sè bambini esposti.
Vale quindi la pena analizzare un po’ più a fondo questo fenomeno che è stato certamente significativo nella storia di Taino, anche perchè molti di questi bambini, una volta diventati adulti, continuarono a vivere a Taino e qui si crearono una loro famiglia.
Dagli atti di matrimonio celebrati nella Parrocchia di Taino dal 1860 al 1900, si rileva che nel 25% delle unioni uno dei due sposi era un esposto, e cioè un giovane su otto proveniva originariamente dalla Pia Casa degli Esposti di Milano o di Novara, ma il loro numero fu sicuramente molto superiore al dato citato, di per sè già rilevante, ma che si riferisce solo agli esposti che in Taino hanno contratto matrimonio.
La domanda che viene spontanea porsi è di chi erano questi trovatelli e perchè il loro numero fu così elevato? Per esempio, su 100 nascite all’Ospedale Maggiore di Milano nel 1850, gli esposti furono in media una trentina, di cui illegittimi il 15% dei neonati. Il fatto che una madre non sposata trattenesse il proprio bambino presso di sè o lo consegnasse ad un brefotrofio dipendeva in primo luogo dalle disposizioni del diritto di famiglia e di stato civile, dagli obblighi di sostentamento dei figli illegittimi e anche dalle opinioni della Chiesa e della società dell’epoca sui figli nati fuori dal matrimonio. Nella società rurale, come era quella di Taino, non vi era, ad esempio, posto per i figli illegittimi e le madri erano praticamente quasi costrette ad abbandonarli, però questi stessi bambini al loro ritorno in campagna come protetti paganti della Pia Casa di S.Caterina furono i benvenuti presso tante famiglie contadine (doc. 3 e 4).
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(doc.3) certificato di affido dell’esposto Franci Francesco della Pia Casa S.Caterina alla Ruota di Milano ai coniugi Berrini Teodolinda e Forni Gaetano (1897)
L’aumento degli abbandoni nell’800 in paesi come l’Italia e la Francia non è tuttavia da imputarsi all’aumento di nascite illegittime, bensì alle diverse norme giuridiche.
Negli Stati protestanti un bambino illegittimo o esposto finiva a carico dell’assistenza pubblica solo nei rari casi in cui non era possibile risalire al padre, alla madre o ai loro parenti, mentre negli Stati cattolici era vietata la ricerca della paternità e in Italia era garantito il segreto della maternità. Il sistema di assistenza pubblica permetteva ad una donna nubile di partorire anonimamente in pubblici ospedali di maternità e qualora lo desiderasse, lasciare il bambino.
Tuttavia la metà circa degli esposti non erano figli illegittimi e circa il 40% dei bambini abbandonati venivano poi riconosciuti e ritirati dai loro genitori dopo il dodicesimo mese di vita, al termine del periodo di allattamento.
Le madri esponevano i loro figli perchè non potevano in alcun modo conciliare l’allattamento e tutte le altre cure di cui i bimbi piccoli necessitano con il bisogno pressante di contribuire al mantenimento della famiglia per mezzo del proprio lavoro. L’abbandono anonimo attraverso il torno fu una caratteristica della grande città, con eccezione dei distretti di Legnano e Varese che fin da tempi antichissimi mandavano ogni anno a Milano qualche dozzina di trovatelli. L’esposizione al torno non era considerato nè un peccato nè un delitto, bensì l’aiuto più importante e più prezioso concesso dall’assistenza pubblica alle famiglie povere. La povertà fece sempre da sfondo alle esposizioni.
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(doc.4) Certificato di affido dell’esposta Alessandrini Teresa dell’Ospedale di Novara a Malerba Antonia, moglie di Luigi (1892)
Da studi fatti risulta che l’esemplare tipico di famiglia espositrice era una donna, analfabeta, operaia o lavoratrice a domicilio, spostata in giovane età con un artigiano di qualche anno più vecchio, che metteva al mondo parecchi figli, uno dopo l’altro di cui esponeva nel torno la maggior parte, per poi riconoscerli da 2 a 5 anni più tardi. Le famiglie operaie non riuscivano a mantenere più di 4 o 5 figli alla volta, se ne nascevano altri facevano ricorso alla Pia Casa e sui bigliettini che spesso accompagnavano il bambino si leggono frasi come “preghiamo di accettarlo con amore che è solo l’estrema miseria che ne conduce a fare tale passo e più presto che sia possibile lo verremo a prendere” perchè anche nella casa povera vigeva come disse il medico dei poveri Mosè Rizzi “il divin senso dell’amore pe’loro parvoli”. Per i poveri l’esposizione clandestina non era un’azione delittuosa, poichè essi avevano la salda convinzione che compito e scopo della Pia Casa fossero di aiutare i poveri nelle cure ai loro figli per loro impossibili e l’esposizione al torno evitava loro lunghe e complicate pratiche burocratiche.
I maggiori rischi che minacciavano la vita degli esposti – la metà circa dei bambini moriva nel primo anno di vita – venivano bilanciati da un vantaggio per la famiglia in quanto gli abbandoni temporanei ne riducevano un po’ le dimensioni e permettevano alla madre di continuare a svolgere un lavoro retribuito. La Pia Casa era per molte famiglie una risorsa in situazioni difficili, però il grosso dei trovatelli veniva dalle famiglie che esponevano i figli più o meno abitualmente. Anche il famoso filosofo e pedagogista francese Jean Jacques Rousseau, aveva esposto i suoi figli, nella convinzione di fare il loro bene.
Un presupposto importante alla naturalezza con cui molti genitori abbandonavano i loro bambini era che nessuno li ostacolava o li chiamava a rispondere delle loro azioni e in questo i genitori poveri erano anche aiutati dai Parroci che, con grande facilità, rilasciavano una “fede di povertà o miserabilità” (doc.5), attestato necessario per riavere il figlio abbandonato e non pagare le spese del suo mantenimento.
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(doc.5) certificato di miserabilità rilasciato dal Parroco Don Cominetti per Piscia Ida Maria figlia di Giuseppe e Giubilini Giannetta, esposta
Questi genitori usavano la Pia Casa come istituto di baliatico gratuito e si liberavano dei figli per un periodo più lungo dell’allattamento per riprenderli quando questi non avevano più bisogno di cure continue, quando erano, ad esempio, in grado di camminare.
Per poter riavere un domani il proprio figlio, i genitori espositori lasciavano sul piccolo un segno di riconoscimento che la Pia Casa elencava diligentemente nei registri e conservava (doc.6). Il segno di riconoscimento più frequente era costituito da un pezzetto di carta tagliato a metà, con un breve testo scritto contenente indicazioni su battesimo, nome, data di nascita e simili. Gli espositori conservavano l’altra metà. A volte i dati venivano scritti sul margine o sul retro di una immaginetta.
Altri oggetti erano monete o catenine con medaglie, figurine di metallo, nastri di seta, pezzi di stoffa. Per escludere ogni possibilità di scambio dei trovatelli ogni bambino lasciato nel torno era subito munito di un piccolo lucchetto, sulla cui targhetta veniva riportato il numero assegnatogli nel registro provvisorio notturno. Inoltre in tutti i suoi spostamenti, all’interno e fuori dal brefotrofio, il bambino veniva accompagnato da un libretto personale che era contemporaneamente una specie di carta di identità, di passaporto sanitario e di curriculum vitae. Questo documento veniva “religiosamente ” conservato anche dalle nutrici e allevatori, che lo dovevano presentare ogni volta per ricevere dalla Pia Casa il compenso e sul quale il Parroco e il Sindaco del paese avevano l’obbligo di notare semestralmente come il bambino era trattato dalla famiglia allevatrice (doc.7).
foto 6 e 6 bis (affiancate)
Comunicazione al Sindaco di Taino che l’esposto Casti Cesare, allevato dai coniugi Tonella Pietro e Bielli Serafina, è stato riconosciuto quale figlio legittimo dei coniugi Aratta
Ai figli di genitori sconosciuti veniva assegnato un nome. Fino al 1825 fu in uso presso la Pia Casa di S.Caterina chiamare tutti i bambini “Colombo” dalla colomba presente sullo stemma dell’Ospedale Maggiore. Le conseguenze di questa abitudine sono evidenti ancora oggi perchè Colombo è a Milano il secondo nome in ordine di diffusione e il quinto in tutta Italia. Una disposizione governativa del 29 novembre 1825 eliminò questa usanza e proibì di dare ai bambini nomi di “famiglie note e distinte”, per il resto lasciò ai brefotrofi piena libertà sulla scelta del cognome. L’istituto milanese seguì una strana norma, secondo la quale l’iniziale del cognome doveva essere sempre la stessa del nome proprio. Come seconda e terza lettera del cognome venivano scelte quelle dell’inizio dell’alfabeto se il bambino era stato esposto verso l’inizio dell’anno, e quelle della fine se era stato esposto alla fine dell’anno.
Questa corrispondenza fra ordine alfabetico e cronologia dell’accettazione al brefotrofio doveva servire alla più facile identificazione dei bambini. Ecco l’origine di alcuni nomi bizzarri che furono presenti a Taino.
Raramente i genitori portavano di persona i bambini alla Pia Casa, per lo più era un compito affidato alle levatrici. La maggioranza delle esposizioni avveniva nei mesi estivi, dovuto al fatto che in questo periodo dell’anno era più alto il numero dei contadini che presentavano i figli per l’allattamento gratuito.
Fino ai primi decenni di questo secolo le madri che allattavano erano meno del 50% e l’allattamento artificiale causava un’alta mortalità – di rado un neonato sopravviveva più di due settimane senza il latte materno -, erano quindi numerosi i neonati, anche di genitori benestanti, che venivano affidati a balie, residenti soprattutto in campagna.
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(doc.7) Pagina del libretto dell’esposta Giuseppa Gondi sul quale il Parroco Don Cominetti e il Sindaco dichiarono che l’esposta è ben tenuta (1866) (documento di Luigi Mira Catò)
Un certo effetto avrà quindi esercitato sui poveri anche l’esempio di queste madri dei ceti abbienti che facevano allattare i figli da nutrici. Il fenomeno dell’abbandono dei neonati non va quindi inteso, nel suo complesso, come mancanza di amore materno o indifferenza dei genitori.
Le autorità cercavano in tutti i modi di invogliare particolarmente le famiglie contadine ad accettare di allevare i bambini esposti; ad esempio un aumento di mercede era concesso alla balia disposta ad accogliere un neonato nel periodo da giugno a settembre quando il lavoro del raccolto e dei campi era più impegnativo e intenso.
Una volta affidato un bambino ad una famiglia allevatrice, l’amministrazione della Pia Casa ne dava comunicazione al Sindaco il quale aveva il compito di vigilare sull’allevamento dell’esposto ed informare tempestivamente se si verificavano maltrattamenti, nel qual caso il bambino veniva restituito all’istituto che provvedeva ad un altro affidamento (doc.8).
Se il Sindaco certificava che la famiglia aveva allevato con cura l’esposto, questa riceveva un premio in denaro (doc.9).
E questo dimostra che per questi bambini le pubbliche istituzioni cercavano di trovare la soluzione migliore (diversi furono i filantropi verso la fine dell’Ottocento che si prodigarono per migliorare le condizioni dei trovatelli, dai direttori della Pia Casa, Piantanida e Buffini, ai fondatori, Sacchi e Laura Solera Mantegazza, del Pio Istituto di Maternità) e forse, tenendo conto delle condizioni di povertà e miseria largamente diffuse in quell’epoca, non tutti gli esposti furono maltrattati e infelici come la letteratura popolare ha fatto credere (vedi il romanzo di Eugène Sue sul trovatello Martin che fu, intorno alla metà dell’Ottocento, un bestseller internazionale o le storie di autori come Fielding, Beaumarchais e Kleist che si sbizzarirono sul mistero che circondava la nascita di questi bambini e la loro infelice sorte).
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(doc.8) Indagine richiesta al Sindaco di Taino sul trattamento dell’esposta Carlotta Carlevi di anni 3 affidata ai coniugi Pietro e Luigia Mira. A piè di pagina annotazioni del Sindaco (1894).
A Taino i trovatelli furono, nel maggior numero dei casi, ben accetti dagli allevatori e trattati all’interno della famiglia come figli anche perchè il baliatico e l’allevamento degli esposti fu, nel secolo scorso, una specie di industria per il paese, l’unico mezzo a disposizione delle famiglie contadine per aumentare le magre entrate.
Al di là dell’aspetto economico, vi sono altre considerazioni da fare su questo fenomeno che per consistenza e durata ha sicuramente influito sulla composizione della popolazione tainese. Innanzitutto l’elevato numero degli esposti che continuarono a vivere a Taino anche dopo il 15° anno di età, fa pensare che molti di loro si erano integrati perfettamente nelle famiglie a cui erano stati affidati, assimilandone i modelli di vita e i valori personali e collettivi; integrazione che si rileva anche dal grande numero di legami matrimoniali con i giovani del luogo. Gli esposti quindi non furono vissuti dal resto della popolazione come degli estranei e la loro presenza fu ben accetta. Alla luce di ciò, possiamo affermare che questi bambini rappresentarono un arricchimento per il paese che dispose, grazie a loro, di un maggior numero di forze giovani e nuove.
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(doc.9) Certificazione del Sindaco del buon allevamento dell’esposta Frenonda Felicita (1895)
Fonti e Documenti:
– Archivio del Comune di Taino
– Archivio della Parrocchia di Taino
– Registri Matrimoniali
a pag.49 (testo inquadrato)
DAI REGISTRI PARROCHIALI
a cura di Maurizio Salmoiraghi
Analizzando i Registri dei Matrimoni della Parrocchia di Taino dal 1860 ai primi anni del ‘900 si rileva l’alto numero di esposti presenti in paese e che qui hanno contratto matrimonio. Riportiamo, esattamente come registrato dai Parroci, alcuni dei nomi con le loro specifiche, tutti caratterizzati, per gli esposti provenienti dall’Ospedale Maggiore di Milano, dall’avere l’iniziale del cognome identica a quella del nome. Molti di questi cognomi sono ora del tutto estinti, altri si sono invece diffusi e rimangono a testimonianza di un mondo e di una società distanti anni luce da noi, seppure, sia trascorso poco più di un secolo.
1860
-Ghiringhelli Agostino nato ad Angera sposa Catella Caterina, figlia dell’Ospedale di Milano
1863
-Giuliani Domenico nato a Travedona sposa Gilberti Giulia esposta del Venerabile Ospedale di Milano
1864
-Piscia Giuseppe nato ad Osmate, tessitore, sposa Giubilini Giannetta, esposta di Milano
1869
-Alvoni Andrea esposto dell’Ospedale di Milano, domiciliato a Cheglio, coltivatore, sposa Giudici Teresa
-Piscia Pasquale nato ad Ispra, sarto, sposa Meschia Maria esposta di Milano, domiciliata a Taino
1872
-Gacapù Giuseppe nato ed esposto a Milano, domiciliato a Taino, sposa Berrini Rachele
1873
-Mira Catò Giuseppe sposa Gondi Giuseppa esposta di Milano
-Lordi Luigi, esposto di Milano, domiciliato a Barza, vedovo, sposa Bielli Carolina
-Gondi Giovanni esposto dell’Ospedale Maggiore di Milano sposa Malerba Carolina
1877
-Mira Antonio nato a Milano, domiciliato a Taino, vedovo, sposa Terreni Tecla nata a Milano, esposta del Venerabile Ospedale Maggiore di Milano, domiciliata a Taino
-Mira Carlo Antonio sposa Murcia Maria, nata a Milano esposta del Venerabile Ospedale Maggiore di Milano, domiciliata a Taino
1880
-Baira Carlo sposa Vughi Virginia, nata a Milano, esposta
1881
-Pozzetti Pietro esposto del Venerabile Ospedale di Milano, domiciliato a Taino sposa Berrini Maria
-Galanti Giuseppe, nato a Milano, esposto, sposa Mira d’Ercole Luigia
-Isperani Isacco esposto del Venerabile Ospedale di Milano, ivi nato, domiciliato a Cheglio sposa Giudici Regina
1884
-Alvod Andrea nato a Milano, residente a Cheglio, esposto del Venerabile Ospedale di Milano, vedovo, sposa Mira Luigia
-Giovanella Gaetano sposa Piana Gioachina nata a Novara, esposta del Venerabile Ospedale di Novara
1885
-Rocchini Vinceslao nato in Novara ove fu esposto sposa Pajetta Luigia
-Giudici Giuseppe sposa Glomari Giulia nata a Milano dove fu esposta nel Venerabile Ospedale, domiciliata a Taino
-Bielli Gaetano sposa Asardi Albertina nata in Milano dove fu esposta nel Venerabile Ospedale
-Bonini Giuseppe nato a Novara esposto del Venerabile Ospedale di Novara sposa Zingaro Maria
1886
-Alerta Angelo nato a Milano esposto del Venerabile Ospedale di Milano, allevato in questa Parrocchia, sposa Giudici Carolina
-Conterio Liborio nato in Novara, esposto del Venerabile Ospedale di Novara, domiciliato dalla nascita in Taino, sposa Giovanella Matilde
1888
-Baranzelli Luigi sposa Novado Maria dell’Ospedale di Novara, residente in Taino
-Mira d’Ercole Carlo sposa Larenzi Gaudenzia dell’Ospedale di Novara
Terenghi Filippo sposa Isotti Isa esposta dell’Ospizio Provinciale di Milano
1890
-Rossi Marziale degli Esposti di Novara, domiciliato in Taino, contadino, sposa Berrini Speranza
1892
-Berrini Pietro, muratore sposa Isetti Ida degli esposti di Milano, domiciliata a Taino
-Ghiringhelli Giovanni, contadino, sposa Eleni Elvira degli esposti di Milano, domiciliata a Taino presso Mira, contadina
-Ferso Valerio, contadino, degli esposti di Novara, sposa Grossi Teresa, contadina
1895
-Mira Stefano, contadino, di Pietro e Lenti Luigia dell’Ospizio di Milano, sposa Comi Caterina degli Esposti di Milano
-Ponti Cesare Ambrogio sposa Rossicci Celestina degli Esposti di Novara domiciliata a Taino presso Mira Ambrogio
1900
-Ghiringhelli Angelo Enrico, contadino, sposa Frenonda Felicita degli esposti dell’Ospizio di Milano, contadina
1901
-Franci Francesco, figlio di ignoti, degli esposti di Milano, domiciliato a Taino, muratore, sposa Mira Catò Maria
1902
-Berrini Enrico, muratore, sposa Ganzianetti Carolina degli Esposti di Novara, contadina
1906
-Glaveni Giovanni, figlio di ignoti, Esposto di Milano, nato a Milano e domiciliato a Taino sposa Longoni Maria
1908
-Nirni Nicola Esposto dell’ospedale di Milano, manovale sposa Cogliati Carolina, operaia