Don Martino Vignati

di Maurizio Salmoiraghi

Don Martino Vignati

 

Era il 1896 quando l’allora ventitreenne Martino (era nato a Solbiate Olona l’11 novembre 1873) divenne sacerdote. Reggeva la Diocesi di Milano da due anni, trasferito da Como, l’Arcivescovo Andrea Carlo Ferrari, destinato a diventare una delle più rappresentative figure del cattolicesimo italiano nel periodo a cavallo tra il XIX e il XX secolo. In quell’anno furono ordinati 66 sacerdoti in una Diocesi di 1.600.000 abitanti (come termine di paragone, l’anno scorso, 1995, in una Diocesi di 5 milioni di abitanti, gli ordinati sono stati 25).

Fino al 1907 Don Martino fu insegnante al Collegio De Filippi di Arona e per l’insegnamento ebbe sempre una grande passione. Nominato parroco di Taino, effettuò il suo ingresso nella Parrocchia di S.Stefano il 29 dicembre 1907, dove rimase per ben 38 anni, fino al  1945, anno della sua morte. Persona da molti tainesi ancora ricordata, Don Martino è stato senz’altro una delle figure più significative nel clero succedutosi a Taino in questo secolo.

Tra l’altro va a suo merito, oltre alla tenuta del Liber Chronicus, di aver raccolto con ordine tutte le notizie riguardanti Taino pubblicate dai settimanali cattolici “Il Sempione” e “Il Resegone” che ci forniscono ora una importante documentazione sulla vita a Taino nei primi anni di questo secolo.

Questi giornali avevano allora le funzioni dell’odierno “Luce” di Varese (“Il Sempione, pubblicato ad Arona, sussiste tuttora ed è  un folio della Diocesi di Novara, mentre “Il Resegone” di Lecco è il giornale cattolico della Diocesi di Milano nelle provincie di Lecco e Como).

Don Martino ha accompagnato la nostra comunità in un periodo che l’ha profondamente mutata: arrivato infatti in un paese ancora quasi totalmente agricolo, ha assistito al suo passaggio ad una economia industriale, con l’installazione del Polverificio. Ha visto accendersi le prime lampadine elettriche, nel 1909, cambiare ritmi ed abitudini di vita, arrivare i primi flussi immigratori dal Veneto; ha visto, purtroppo, una quarantina di tainesi non tornare dalla prima e dalla seconda guerra mondiale. E’ stato testimone anche del triste lascito  dell’industrializzazone a  Taino: i 35 morti nello scoppio della Polveriera, nel luglio 1935.

Per comprendere l’umanità e le qualità di Don Martino, si può leggere la lettera che egli il 12 giugno 1945, poco prima di morire, mandò all’Arcivescovo Schuster, e la cui minuta è conservata nell’Archivio parrocchiale; al di là della palese amarezza che traspare per essere stato affiancato dal padre vicario, Don Enrico Talamona (evidentemente in Curia dubitavano della salute dell’ormai quasi 72enne parroco), la lettera ci mostra una persona, oltre che di cultura, sinceramente devota alla sua comunità alla quale, umilmente, aveva dedicato, in anni non facili, gran parte della sua vita di sacerdote.

Esautorato nell’ultimo periodo della sua vita dalle sue funzioni a causa delle precarie condizioni di salute, il un suo grande rammarico fu soprattutto di non poter più predicare e celebrare i sacramenti, fare il pensionato significava per lui, come scrisse nella lettera all’Arcivescovo “rifiuto di obbedienza all’ordine dato da Gesù agli Apostoli e quindi anche ai Discepoli: andate, predicate, battezzate ecc. Non si legge che Apostoli e Discepoli siano andati in pensione.” Nonostante le poche forze che gli erano rimaste, non trovava giusto abbandonare i suoi parrocchiani.

 

I DISCENDENTI DI DON MARTINO

Lo scorso 26 giugno sono venuti in visita a Taino alcune discendenti di don Martino Vignati: le pronipoti Regina, Suor Faustina e sua cognata Giulia.
Sono venute, dimostrando attenzione e cortesia verso Taino, per ringraziare Don Fausto, la Parrocchia, il nostro giornale, l’Amministrazione Comunale e i tainesi tutti per aver conservato e cercato di tramandare il ricordo di don Martino, dedicando a lui una via del paese.
Abbiamo colto l’occasione per raccogliere alcune notizie sulla famiglia Vignati, diligentemente ricercate dalla pronipote Regina. Suor Faustina, che da bambina trascorreva a Taino periodi di vacanza presso il prozio, ha ancora vivi molti ricordi di quell’epoca e li ha esposti in una bella lettera inviata alla cugina e che qui riportiamo. Dalle sue parole si ha l’immagine della semplicità e della serenità che si viveva nella casa di don Martino. Gli atteggiamenti, le frasi da lui pronunciate e che Suor Faustina ha tenuto impresso nella mente, ci danno il ritratto di un uomo di profonda religiosità e bontà che sapeva guardare con umorismo alla vita. I ricordi di Suor Faustina sono dei tenerissimi quadretti di vita quotidiana e familiare, una vita semplice, fatta di piccole cose, ma piena di rispetto e di amore per il buon Dio e il prossimo.
Suor Faustina (al secolo Giovanna Vignati) è entrata in Monastero all’età di 19 anni e ha prestato per molti anni servizio in scuole, ospedali e carceri.

” ….Dagli 8 ai 12 anni in tempo di vacanza con il nonno Carlo
(ndr. fratello di don Martino) mi recavo a Taino che per me è stata la culla della mia vocazione.
La mia vita di pietà e di preghiera mi è stata inculcata dallo zio don Martino e dalla zia Rosina.
Ogni mattina, prima di tutto dovevo recarmi in Chiesa per la preghiera e poi fare colazione e così via per tutto il resto della giornata con le pratiche di pietà. Da loro ho ricevuto consigli e buon esempio da imitare. Aiutavo sempre nei lavori domestici e la zia mi mandava a fare la spesa e nei negozi la gente mi chiedeva se ero la nipote del parroco”.

“Raccoglievo la frutta in collina e la zia era bravissima a fare marmellate, quella di uva mi piaceva tanto, era molto buona. Se stava per arrivare un temporale, zia Rosina mi mandava a chiamare lo zio – dovevo destarlo anche se riposava – per una benedizione contro il tempo cattivo. Avevano una capretta e da lei prendevamo il latte fresco per cui non mancava nulla. Avevano pure un pozzo nel quale si calava un secchio legato ad una lunga corda e si prendeva l’acqua fresca. Allo zio non piaceva il lardo come condimento e la zia lo mettava a dadi e poi se li mangiava lei. Avevano pure un cane grosso che mangiava a tavola con noi, ma si allontanava quando gli si faceva vedere il bicchiere del vino. Si chiamava Tom.
In casa parrocchiale venivano diverse persone che avevano bisogno e tutte erano accolte bene. Lo zio dava ripetizioni e un giorno ad un suo studente che gli chiese cosa fosse la terra rispose: “la terra è quella cosa che a toccarla sporca le mani”… Quando suonava il piano mi invitava a cantare “giovinezza, giovinezza”. Alla sera lo vedevo sempre in sala che pregava con il suo breviario in mano. Una volta venne a Solbiate in visita alla nuova Chiesa e all’uscita il parroco gli disse: “Don Martino dia una benedizione a suo nipote (mio fratello Sandro) perchè si faccia prete” e lo zio rispose “la vocazione è una chiamata da Dio, per cui non occorre nessuna benedizione”. L’ultima volta che lo vidi, alcuni parenti gli diedero una busta con dei soldi per celebrare delle S.Messe di suffragio per i loro defunti, ricordo che lui fece questo commento: “la S.Messa vale più ascoltarla che farla celebrare”. Era un uomo di grande saggezza.
Ai miei auguri di Pasqua, rispondeva a Natale e viceversa, ma quando arrivavo a Taino mi diceva: “i tuoi auguri li porto sempre con me nella tasca della mia veste” e me li faceva vedere. Sono grata al mio caro zio che mi ha sempre tenuta sul suo cuore”.

Maria e il marito Pietro Greco negli anni ’20 vennero a Taino per aiutare lo zio come sacrestani. Pietro Greco faceva scarpe e zoccoli, ma questa attività in un paese piccolo come Taino non rendeva a sufficienza per mantenere la famiglia. Dopo qualche anno Maria e Pietro, terminati i risparmi, decisero di ritornare a Solbiate. I parrocchiani affezionati a queste persone si offrirono di aiutarli, ma loro per dignità rifiutarono. La figlia maggiore, Angelina, nata nel 1915 fece a Taino la prima elementare.

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