di Laura Tirelli
Il ritrovamento avvenuto anni addietro di alcuni sarcofaghi in granito e di altri oggetti provenienti da tombe a cremazione testimoniano la presenza a Taino di un insediamento di epoca romana.
Un’indagine archeologica approfondita non è mai stata fatta sul nostro territorio per cui non sappiamo se Taino fu un villaggio (vicus) autonomo con una propria popolazione e amministrazione o località dipendente dalla più grande e popolosa Angera, definita dagli umanisti della corte viscontea “urbs antiqua, civitas popolosissima, oppidum insigne.”
Gli scavi archeologici effettuati dall’equipe della prof.ssa Gemma Sena Chiesa dell’Università di Milano hanno stabilito che Angera fu in epoca romana, particolarmente dal I al III secolo d.C., il più importante centro portuale e di transito del basso Verbano e la sua popolazione, relativamente benestante, si occupava di commercio, artigianato e produzione agricola. Data la posizione geografica di Taino e la sua vicinanza con Angera, si può supporre che sul territorio di quello che oggi è il nostro paese vi fossero insediamenti produttivi di tipo agricolo, in particolare nelle località di S.Damiano a Cheglio e ai Ronchi. Questa ipotesi è suffragata dal ritrovamento proprio in questi luoghi di due sarcofaghi romani di una certa importanza di cui uno, lavorato a fregi e proveniente da S.Damiano, funge ora da bacino alla fontana situata al bivio tra Taino e Cheglio, e l’altro con l’iscrizione
” F C.GEMINUS F TERES IN AGR LATUS XXV LONGUS P XXXV H M H N “(1) è oggi utilizzato come fioriera alla cascina Amelia.
Questo disegno riproduce un edificio produttivo della fine del V secolo d.C., ricostruito ipoteticamente in base ai ritrovamenti degli scavi effettuati ad Angera. Possiamo supporre che costruzioni simili fossero presenti anche a Taino.
Questo insediamento comprendeva alcuni ambienti abitativi, un grande locale, forse di lavoro, un cortile murato in cui trovavano posto le strutture produttive: la grande cisterna, il forno, un piano di lavoro per la decantazione dell’argilla utilizzata per costruire vasellame e recipienti.
Il paesaggio intorno, ricostruito dagli studiosi sulla base delle analisi paleobotaniche eseguite sui semi, in particolare legumi, e sul legname ritrovato, risulta caratterizzato dalla presenza di ampi spazi forestati con abbondanza di alberi di noce, quercia e frassino.
Un terzo sarcofago, simile a quello usato come bacino della fontana, senza però iscrizioni o fregi, è posto nei pressi delle stalle del Palazzo ex-Serbelloni-Corti. Lì vi è anche un coperchio con le lettere D e M che significano “dedicato agli Dei (Diis) Mani (Manibus)”, divinità domestiche a cui i romani affidavano le anime dei defunti.
Un altro coperchio proveniente da Cheglio si trova nel giardino di villa Rigamonti.
Questi resti sono solo una testimonianza della Taino Romana, certo non sufficienti a definire l’abitato e la struttura dell’antico vicus o la presenza certa di una necropoli, che solo ricerche e scavi archeologici sistematici potrebbero determinare con esattezza.
Ci piace comunque ricordare che Taino nella sua lunga storia ha
partecipato all’antica civiltà romana le cui vestigia, a distanza di duemila anni, sono ancora ben visibili tra noi.
E’ un peccato che non si sia mai pensato di conservare questi sarcofaghi, unici e importanti reperti della storia del paese, in un luogo appropriato. Tutti i paesi dell’Europa settentrionale e centrale, anche quelli piccolissimi, hanno un piccolo museo dove sono raccolte tutte le testimonianze della storia locale, come vecchie fotografie, documenti, attrezzi agricoli, utensili, mobili, abiti etc. perchè come ha detto lo storico greco Tucidide “il passato è una acquisizione per il futuro” e una comunità che serba la documentazione e i ricordi della vita passata della sua gente non perderà mai la propria identità.
(1) L’iscrizione significa: “Fece costruire in vita Caio Geminio Terete in un campo di 25 piedi di larghezza e 35 di lunghezza.
Questo Monumento non passerà al mio erede”